PESCARA«Ore 12 a Roma, Ministero Economia e Finanze in via XX Settembre n. 97, incontro con il ministro dell'Economia e Finanze Pier Carlo Padoan per concordare strumenti normativi su misura dell'Agenda Abruzzo». Dietro questo laconico annuncio sull'agenda del governatore si nasconde la madre di tutti i problemi della Regione Abruzzo. In termini semplici: Luciano D'Alfonso ieri è andato a Roma per scongiurare il peggio, ovvero il commissariamento dell'Abruzzo. Perché il rischio c'è. Un rischio che parte da lontano, ereditato dalla giunta D'Alfonso e finora non disinnescato. Il grande tema è il problema dei bilanci. L'Abruzzo è fuori dai rendiconti del 2013, 2014, 2015 e 2016 per difetto di parificazione. Questa, in parole semplici è la diagnosi della Corte dei conti che ha estratto il cartellino rosso. Il pericolo del commissariamento è concreto. Così come la necessità di norme di salvaguardia specifiche per una regione che ha subìto disastri epocali, terremoti, nevicate e frane.I problemi nascono però da lontano. Dall'epoca del governatore Antonio Falconio, quando l'Abruzzo uscì dall'Obiettivo 1. Problemi continuati con le giunte Del Turco e Chiodi. Problemi seri, a nove zeri, che la giunta D'Alfonso ha ereditato in tutta la loro gravità. Da allora, infatti, non c'è più stato incremento del Prodotto interno lordo (Pil), sulla base di quanto definiva la programmazione comunitaria europea. Così l'Abruzzo, a differenza della Regione Puglia, non può fare più nulla con i fondi strutturali. Ma questo è il minimo. La domanda è: che cosa può aver chiesto D'Alfonso a Padoan? Un intervento per quanto riguarda il reperimento di risorse aggiuntive sembra essere escluso, alla luce di quanto ha sentenziato la Corte dei conti. L'Abruzzo, dicono in parole semplici i magistrati contabili, non è assolutamente virtuoso per ciò che riguarda il pareggio di bilancio. La cifra in rosso sfiora gli 800 milioni di euro. Ma, d'altro canto, bisogna dire che ci sono anche molte entrate non riscosse. Basti pensare che l'Enel dovrebbe pagare alla Regione qualcosa come 130 milioni di euro per lo sfruttamento delle centrali idroelettriche.Alla vigilia dell'incontro con Padoan, quindi, D'Alfonso ha convocato la conferenza dei direttori. Ciascuno di loro ha riferito al governatore, e all'assessore regionale al Bilancio Silvio Paolucci, anch'egli presente ieri da Padoan, i problemi e le sofferenze del proprio settore. Ma torniamo ai numeri. Il disavanzo accertato, al 2012, sfiorava gli 800 milioni di euro. Un anno prima, con il decreto numero 118 del 2011, era scattato l'obbligo per le Regioni di riaccertare i residui attivi e passavi di bilancio. Ma né Del Turco, né Chiodi e poi neppure D'Alfonso lo hanno fatto. Così oggi si vocifera che il disavanzo sfiori il miliardo e mezzo di euro. Quali sono in concreto gli effetti? La norma del 2011 blocca, per l'Abruzzo, le assunzioni non solo nella pubblica amministrazione ma anche nelle Asl. Emblematico è il caso degli anestesisti. E questo perché la stessa norma impone il divieto assoluto a ulteriori indebitamenti come quelli per costruire nuovi ospedali. Non a caso, la Regione ha scelto la strada dei project financing delegando, come per Maltauro, gli investimenti e di conseguenza la gestione della sanità pubblica, ai colossi privati. La Corte dei conti ha elencato una serie di osservazioni. In totale 11 cartellini rossi sui residui non accertati e le conseguenze, che hanno spinto i 5 Stelle a chiedere il commissariamento ad acta. Gli stessi giudici lo paventano. Sarebbe come il commissariamento avvenuto nella Sanità. La Corte ha pure avvisato il Mef e il presidente della Repubblica del caso Abruzzo. E lo spettro peggiore che incombe sulla Regione è quello previsto dall'articolo 126 della Costituzione, l'ipotesi più nefasta: lo scioglimento del Consiglio. Lo sostengono i 5 Stelle, per bocca di Sara Marcozzi, che hanno scritto al premier Gentiloni. Tornare nei ranghi non è facile. La Regione dovrebbe riaccertare i residui, quantificare il reale disavanzo e, su questa cifra, chiedere al Mef di poter rientrare in trent'anni. Con rate annue di 30-35 milioni di euro. Una volta fatto questo, la legge consente investimenti e assunzioni. Ma D'Alfonso è fiducioso e si lascia sfuggire: «A settembre sarà tutto risolto». Che cosa ha ottenuto da Padoan? Lui risponde così: «Il ministro si è impegnato a studiare uno strumento normativo che ci consenta l'allungamento ulteriore dell'assorbimento di quanto abbiamo ereditato, cogliendo la condizione di superamento del commissariamento della Sanità e i sacrifici che abbiamo dovuto fare».