ROMA Inizia un duro conto alla rovescia per le società partecipate, soprattutto per i manager e le loro buonuscite d'oro. Saranno questi infatti i primi a vedere gli effetti della riforma Madia della Pubblica amministrazione. Entro la fine del mese l'ex municipalizzate dovranno adattare i propri statuti alle norme appena entrate in vigore prevedendo, tra le altre cose, una stretta sui guadagni di coloro che siedono sulle poltrone più alte. Si parte dalle buonuscite d'oro che non potranno più essere distribuite, stessa cosa per i gettoni di presenza e i premi di risultato decisi al termine del mandato di amministratori e degli altri componenti dei Consigli di amministrazione.
LA PLATEA
Regole che investiranno quasi 10mila partecipate, fatta eccezione per quelle quotate, come Enel o Poste, che non rientrano nel perimetro della riforma. Il termine è fissato per il 31 luglio. Entro quella data, almeno sulla carta, le nuove regole dovranno essere scritte nero su bianco. Alla stretta sui premi si aggiunge quella sulle cariche: nessun nuovo organo potrà essere creato, così come sarà vietato accentrare le deleghe o nominare vicepresidenti, se a titolo gratuito. La scadenza di fine luglio per l'adeguamento degli statuti potrebbe anche non essere rispettata, ma va di pari passo ad un altro impegno introdotto con la riforma, ossia l'iscrizione ad un elenco delle amministrazioni che fanno affidamenti diretti, di cui si occuperà l'Autorità Anticorruzione. L'inserimento nella lista, obbligatorio da metà settembre per chi vuole procedere con gli affidamenti in house, è subordinato a una serie di verifiche, tra cui anche il controllo degli statuti delle partecipate. Per questo che la scadenza sulle buonuscite difficilmente potrà passare inosservata, soprattutto da chi vorrà continuare ad utilizzare il vecchio metodo di affidamento dei servizi. A settembre è attesa un'altra importante scadenza: tra due mesi Regioni e Comuni dovranno chiudere la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute, mettere a punto un piano di razionalizzazione e iniziare la dismissione di quelle inutili, quelle che sono un doppione di altre o svolgono funzioni non previste, quelle in perdita costante, le cosiddette scatole vuote che hanno più manager che dipendenti ed infine quelle con fatturato medio non superiore a un milione di euro. Per venire incontro agli enti territoriali sono state previste una serie di deroghe e salvataggi, che aiuteranno alcune spa a rimanere in vita nonostante non ne abbiano i requisiti. Quanto si risparmierà a livello nazionale sul riassetto delle partecipate ancora non è certo.
Il Governo, prudentemente, non ha diffuso stime ufficiali ma recentemente Marianna Madia, facendo riferimento a stime dell'ex commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli ha detto che la cifra sarà vicina al miliardo. Dovrebbero essere oltre 5 mila le società sotto esame. Solo a Roma, ad esempio, le controllate sotto varia forma sono circa trenta. Un tesoretto che per il Campidoglio vale quasi 5,5 miliardi di euro. Una selva che in moltissimi casi si è dimostrata economicamente svantaggiosa, con solo otto società che hanno chiuso l'anno in utile.