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Pescara, 24/11/2024
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28/07/2017
Il Messaggero
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Atac, il dg Rota in bilico scontro aperto con M5S. Il manager venuto da Milano, con il placet della Casaleggio Associati, per risanare la malandata partecipata dei trasporti romani, sembra ormai con un piede fuori dall'Atac. Allarme stipendi, il piano della discordia Il concordato preventivo unica via d'uscita |
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ROMA L'avventura di Bruno Rota nella municipalizzata del Campidoglio è vicina al capolinea, dopo uno scontro con il M5S sui disastrati conti dell'azienda e soprattutto sulle strategie da mettere in atto per risanarli. «Non c'è più fiducia, il rapporto si è rotto», trapelava ieri dagli uffici della sindaca Virginia Raggi, che dopo avere cambiato 3 amministratori in un anno al vertice dell'azienda dei rifiuti, l'Ama, ora potrebbe essere chiamata ad avvicendare il terzo direttore generale nella società dei trasporti da quando i Cinquestelle hanno scalato il Campidoglio. «ERRORI DEI CINQUESTELLE» Rota, scelto ad aprile dal M5S con una selezione aperta, da inizio luglio aveva iniziato a denunciare la gravissima situazione finanziaria trovata nella municipalizzata romana. Il 10 luglio scorso, in una riunione riservata con i Cinquestelle svelata dal Messaggero, Rota aveva detto: «Sono sincero: il M5S a Roma ha sbagliato. Secondo me, l'amministrazione Raggi doveva denunciare la situazione dell'Atac un anno fa, appena eletta». La situazione debitoria, denunciava Rota, «ormai è insostenibile: presto dovremo prendere delle decisioni nette». Concetti ribaditi, a microfoni aperti, in due interviste pubblicate ieri. Ed è deflagrata la crisi con i Cinquestelle. Il presidente della Commissione comunale Mobilità, il grillino Enrico Stefano, ha replicato duro: «Abbiamo dato a Rota carta bianca. Il mero elenco dei problemi non è sufficiente, magari in questi tre mesi poteva cominciare a dare dei segnali, rimuovendo i dirigenti responsabili del disastro, come lo abbiamo invitato a fare più volte». Immediata la replica del diggì: «Più che di dirigenti da cacciare, lui e non solo lui, mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti». E ancora: «So del vivo interesse del consigliere Stefàno alle soluzioni della società Conduent Italia, che si occupa di bigliettazione e che mi ha invitato ad incontrare più volte». Accuse molto pesanti, che sembrano paventare pressioni per appalti e promozioni ingiustificate. Tanto che le opposizioni, da destra a sinistra, iniziano a chiedere le dimissioni di Stefàno. Il senatore Andrea Augello (Idea) oggi presenterà un esposto in Procura. «I magistrati indaghino sulle raccomandazioni di Stefàno», chiede anche il deputato del Pd, Michele Anzaldi, membro della commissione Trasporti della Camera. A questo punto la frattura con i Cinquestelle è marcata. I consiglieri della maggioranza di Virginia Raggi iniziano ad attaccare il manager in batteria: «Se Rota, come sembra, non se la sente di risanare Atac, noi non lo tratteniamo», attaccano i grillini. E ancora: «É intollerabile che Rota denunci ciò che lui stesso non ha fatto». IL SUMMIT Fino a notte la sindaca Raggi si è riunita con l'assessore ai Trasporti, Linda Meleo, restando in contatto anche con Milano (l'entourage di Casaleggio) per trovare un'exit strategy. L'ipotesi che circolava ieri in Campidoglio era quella di ritirare le deleghe al direttore generale, per costringerlo alle dimissioni. Ma a quel punto la palla passerebbe a Rota. Il licenziamento, d'altronde, potrebbe costringere il Comune a sborsare una sostanziosa buonuscita, considerando che il manager, ad aprile, ha firmato un contratto di 36 mesi.
Allarme stipendi, il piano della discordia Il concordato preventivo unica via d'uscita
ROMA Un concordato preventivo in continuità per salvare la più grande azienda dei trasporti pubblici d'Italia da mesi sull'orlo del default. Con un commissario nominato dal Tribunale per gestire un debito monstre non lontano da 1,4 miliardi di euro. È questo il punto centrale del piano industriale di Atac, presentato dal direttore generale Bruno Rota alla sindaca Virginia Raggi. Piano mai diventato ufficiale, perché da quando è stato spedito a Palazzo Senatorio, ormai un mese fa, non ha ottenuto l'atteso via libera da parte della giunta grillina. Il manager arrivato nella Capitale direttamente dall'Atm di Milano considera questa mossa imprescindibile per risollevare una municipalizzata da quasi 12 mila dipendenti, che non chiude un bilancio in attivo da anni, e su cui grava un debito da 1 miliardo e 385 milioni. LA PROCEDURA Una situazione finanziaria giudicata dallo stesso Rota ormai «insostenibile», tanto che negli ultimi giorni il diggì, nei colloqui riservati, ha alzato il pressing sulla sindaca per andare in Tribunale e avviare la procedura. Altrimenti, è stato spiegato, sono a rischio anche gli stipendi di agosto. Per questo il manager ha spinto per formalizzare la richiesta al Tribunale già nell'assemblea dei soci in programma domani (in prima convocazione) e lunedì. Con il concordato preventivo «in continuità aziendale», Atac potrebbe proseguire l'attività nonostante lo stato di crisi. In base alla legge fallimentare, la partecipata del Campidoglio avrebbe la possibilità di ristrutturare i debiti aziendali, riequilibrando la situazione patrimoniale e presentando un piano per soddisfare i creditori anche attraverso operazioni straordinarie di impresa o attraverso la cessione di cespiti. Attingendo, cioè, dal patrimonio immobiliare in disuso, da terreni e da vecchi depositi e sedi aziendali da dismettere. Un tesoretto congelato dai Cinquestelle, che secondo l'ex direttore generale Marco Rettighieri varrebbero almeno 90 milioni di euro. INSOLVENZA CON I FORNITORI Del resto, solo i crediti verso i fornitori ammontano attualmente a 325 milioni di euro. Un macigno che schiaccia il settore della manutenzione, perché le imprese, che si ritrovano con centinaia di fatture non saldate, hanno smesso di spedire i pezzi di ricambio nelle rimesse dell'azienda e gli operai non hanno più materiale per riparare un parco bus tra i più datati d'Europa (l'età media è di 11 anni, contro gli 8,6 anni medi registrati a Milano, i circa 5 anni di Berlino, i 6 anni di Londra e i 7 anni di Parigi). Il concordato preventivo permetterebbe all'Atac di congelare, almeno temporaneamente, i decreti ingiuntivi, i pignoramenti, le azioni esecutive connesse col maxi-debito. E le permetterebbe di suddividere i creditori in classi diverse, a seconda della posizione giuridica e degli interessi economici, stabilendo trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. Ovviamente, questa misura prevista dalla legge fallimentare, scatterebbe solo in presenza di un piano industriale lacrime e sangue (che passerebbe dall'abbattimento del tasso di assenteismo record dei dipendenti, che supera il 12%): quello che una parte del M5S non ha mai voluto, a partire dall'assessore ai Trasporti di Raggi, Linda Meleo, e dal presidente della Commissione comunale Mobilità, Enrico Stefano. Lo scontro con il diggì dell'Atac, in fondo, nasce da qui.
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