Le dimissioni del direttore generale, il bilancio non approvato, l'assemblea dei soci andata deserta, un debito macroscopico che anziché diminuire continua a lievitare. E perfino 30mila titoli di viaggio rubati, l'altro ieri, in piena notte, nella stazione di Lido Nord. Tra biglietti e abbonamenti, circa 100mila euro di mancati incassi per l'Atac. Una goccia nella voragine dei conti di un'azienda ai confini dell'insolvenza, che in queste condizioni rischia di ritrovarsi in crisi di liquidità. L'ormai ex diggì Bruno Rota da giorni non ha nascosto più le difficoltà finanziarie, che potrebbero rendere difficile perfino il pagamento degli stipendi, già a partire da agosto. Del resto un'altra società comunale, Risorse per Roma, ha già fatto capire che potrebbe non liquidare i cedolini del prossimo mese, anche se qui a pesare non sono i debiti, ma i crediti vantati verso alcuni dipartimenti di Roma Capitale.
LEGGE FALLIMENTARE
La situazione finanziaria della partecipata dei trasporti è talmente grave che lo stesso Rota, in diverse riunioni riservate, aveva chiesto alla giunta M5S di accedere alla procedura fallimentare. Non per dichiarare default, ma per chiedere il «concordato preventivo in continuità aziendale», l'unico modo per salvare la più grande partecipata dei trasporti pubblici d'Italia. Con un commissario nominato dal Tribunale per gestire un debito ormai vicino a 1,4 miliardi di euro.
Con il concordato preventivo, Atac avrebbe potuto proseguire l'attività nonostante lo stato di crisi. E in base alla legge fallimentare, avrebbe potuto ristrutturare i propri debiti presentando un piano per soddisfare i creditori anche attraverso operazioni straordinarie o attraverso la cessione di cespiti. In sostanza, Atac avrebbe potuto attingere dal suo patrimonio immobiliare in disuso, da vecchi depositi e terreni ritenuti non più funzionali, che valgono almeno 90 milioni di euro.
È chiaro che per sfruttare la legge fallimentare, Atac dovrebbe presentare al Tribunale un piano lacrime e sangue, che passerebbe dall'abbattimento del tasso di assenteismo record dei dipendenti, che supera il 12%, contro il 6,8% che si registra per esempio all'Atm di Milano. Rota aveva buttato giù un piano che, secondo alcune fonti, avrebbe previsto anche degli esuberi. A bloccarlo una parte del M5S, che in Atac ha avuto un importante bacino elettorale alle ultime comunali. Da qui è nato lo scontro tra il manager milanese e l'assessore ai Trasporti, Linda Meleo, e il presidente della Commissione comunale Mobilità, Enrico Stefano. Fino alle dimissioni presentate il 21 luglio, perché il piano industriale consegnato a fine giugno alla sindaca non era ancora stato approvato dai Cinquestelle.
In teoria avrebbe dovuto essere votato, insieme al bilancio, dall'assemblea dei soci convocata ieri. Ma la seduta è andata deserta. La prossima convocazione è per lunedì. Va coperta intanto la poltrona lasciata libera da Rota. In Campidoglio circolano i nomi di Alberto Ramaglia e di Carlo Pino, entrambi dimissionari dall'Anm di Napoli, e di Giancarlo Schisano, ex direttore operativo di Alitalia. Raggi, dicono i fedelissimi, ha deciso di accelerare, per non dare l'idea dello stallo in un momento di crisi. Per questo non ci sarà un'altra selezione. Il nuovo diggì, trapela da Palazzo Senatorio, dovrebbe essere nominato già la prossima settimana.
«Dal 31 luglio stop ai pasti nelle mense» Così il Dopolavoro alza bandiera bianca
Finite nel mirino della Procura della Repubblica, che ha iscritto nel registro degli indagati 17 funzionari di Atac, le mense di autisti e macchinisti, gestite per quarant'anni da un cartello di sindacati senza un contratto, chiudono i battenti. La comunicazione interna è stata diramata ieri pomeriggio. «A partire dal 31 luglio, il Dopolavoro è costretto a sospendere l'erogazione dei pasti in tutte le mense». Già la settimana scorsa aveva chiuso il primo refettorio, quello di via Prenestina. Le altre strutture sono andate avanti fino all'esaurimento delle scorte. E ieri il Dopolavoro, partecipato al 100% dalle corporazioni interne, ha dovuto alzare bandiera bianca. L'Atac da mesi ha bandito una gara per affidare il servizio a esterni, ma ancora non è stato assegnato. Sullo sfondo resta l'ipotesi dei buoni pasto, ventilata dall'ex diggì Marco Rettighieri, ma mai applicata.
L'INDAGINE
Era stato proprio Rettighieri a far partire le indagini dei pm di piazzale Clodio, presentando un esposto che scoperchiava il business opaco che ruotava attorno alle mense, gestite dal Dopolavoro, grazie a un accordo sindacale del 1974. Un appalto da oltre 4 milioni di euro non regolato da alcun contratto.