ROMA La prima sorpresa è arrivata nelle buste paga di luglio. L'Atac non è riuscita a pagare l'anticipo del Tfr chiesto dai dipendenti. Motivo? Non c'erano abbastanza soldi in cassa. Del resto la più grande partecipata dei trasporti d'Italia è riuscita ad assicurare gli stipendi «solo nell'ultimo quarto d'ora», come ha confidato al Messaggero l'ormai ex direttore generale, Bruno Rota. Come? Con una manovra d'emergenza che però vale come una fiche che si può giocare una volta sola. In crisi profonda di liquidità, l'azienda è riuscita a far partire i bonifici per i salari dei suoi 11.771 dipendenti soltanto grazie a un anticipo dei versamenti legati al contratto di servizio con il Campidoglio. Oltre 40 milioni di euro che il Comune avrebbe dovuto liquidare nella seconda parte dell'anno e che invece, per rispettare questa scadenza, è stato costretto a sborsare subito. Ma è una mossa una tantum, che difficilmente potrà essere ripetuta in futuro. Anche perché il contratto di servizio ha un valore fissato da una delibera approvata dall'azionista unico di Atac, cioè Roma Capitale. Difficile, insomma, che questa strada possa essere percorsa anche ad agosto.
SOLUZIONE STRUTTURALE
Servirebbe una soluzione strutturale. Il concordato preventivo, ipotizzato dall'ex diggì Rota ma congelato dalla maggioranza di Virginia Raggi. Solo così la municipalizzata del Campidoglio potrebbe sospendere, almeno temporaneamente, i decreti ingiuntivi, i pignoramenti, le azioni esecutive connesse col maxi-debito che sfiora 1,4 miliardi di euro. E le permetterebbe di suddividere i creditori in classi diverse, a seconda della posizione giuridica e degli interessi economici, stabilendo trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
Rota del resto è stato chiaro. I margini di azione sono strettissimi. «La deadline è già superata - ha detto nell'intervista pubblicata ieri su queste colonne - Qui c'è un'azienda che l'ultima volta è riuscita a pagare gli stipendi nell'ultimo quarto d'ora. È una situazione che deve essere analizzata dal tribunale fallimentare. La quantità di decreti ingiuntivi che ha accumulato è spaventosa».
ISTANZE DI FALLIMENTO
Preoccupazioni condivise anche da diversi dirigenti dell'azienda comunale. «Basterebbe che uno dei tanti fornitori presentasse domani un'istanza di fallimento e la situazione precipiterebbe», confidano nei corridoi del quartier generale di via Prenestina. Dopo il burrascoso addio dell'ex presidente di Atm, tutte le deleghe operative sono tornate in capo a Manuel Fantasia, l'ingegnere nucleare scelto a settembre dal M5S come amministratore unico della società. C'è lui al timone dell'azienda nel momento più difficile. Anche perché la scelta del nuovo diggì, nonostante gli annunci di «decisioni immediate» dall'entourage della sindaca, sembra essersi arenata nelle secche di Palazzo Senatorio.
L'ASSEMBLEA DEI SOCI
Rischia di andare a vuoto anche l'assemblea dei soci prevista per domani. Atac deve ancora approvare il bilancio, anche se il termine di legge era il 30 giugno. La prima convocazione dell'assemblea, fissata per venerdì scorso, è andata deserta. Esito quasi scontato, considerata la crisi politica che si consumava in quelle ore al vertice della società, con le dimissioni di Rota e lo scontro infuocato tra il diggì e i Cinquestelle. Di certo si sa che anche il consuntivo 2016 sarà in perdita. Come avvenuto nel 2015, nel 2014 e negli ultimi dieci anni. Anche il gigantesco debito con banche e fornitori resta ancorato alla cifra monstre di 1 miliardo e 385 milioni di euro.
Tra i dipendenti monta la preoccupazione «Se ci lasciano a casa, blocchiamo Roma»
ROMA C'è chi si aggrappa all'immutabilità dell'esistente: «Gli autobus a Roma gireranno sempre», ripetono in loop gli operai delle officine di Tor Pagnotta, deposito dell'Atac a Roma Sud, ai confini col Gra. Un po' per rincuorarsi, un po' per scacciare più in là il fantasma della bancarotta, dell'insolvenza, degli stipendi non pagati già da subito, dal prossimo mese. Ma il fantasma ormai è lì, evocato da Bruno Rota, l'ex direttore generale già tornato nella sua Milano. Già questo mese, ha detto Rota, «siamo riusciti a pagare gli stipendi solo nell'ultimo quarto d'ora». E per agosto non c'è certezza. Anzi.
«STA CROLLANDO TUTTO»
Il ritornello degli ottimisti è «Atac non può fallire». Too big to fail, troppo grande per fallire, come si diceva delle banche americane agli albori della crisi del 2008. Il mantra degli ottimisti. Lo sciorinano i sindacalisti, anche loro sottovoce preoccupati, perché qui «sta crollando tutto, non pagano neanche più il Tfr». La speranza è nell'ennesimo aiuto dall'alto - «dal governo, dal Comune», ma come? - dalla politica, insomma, quella che per anni, con la complicità delle corporazioni interne, ha sfruttato Atac «come un bancomat», come ha detto la stessa Raggi. Tra le assunzioni pilotate di Parentopoli, le promozioni col placet di certi sindacati, gli appalti senza gara, il lassismo sui dipendenti che si è trasformato in tassi di assenteismo record.
Se fosse una canzone, sarebbe «Che ne sarà di noi». Li senti, gli autisti riuniti nei capannelli alla rimessa di Tor Sapienza, dove vengono parcheggiati i bus a metano e a gasolio, incoraggiarsi a vicenda, tra una sigaretta e l'altra, in pausa, o aspettando che qualcuno ripari l'ennesimo guasto della giornata. «Non possono lasciarci tutti a casa, qui scoppia la rivoluzione», ma c'è poca convinzione anche nella voce che dovrebbe reggere la minaccia. E ancora: «Se non ci pagano faremo scioperi su scioperi, blocchiamo Roma». Ma è una sfida sorda, in una città già abituata a uno sciopero al mese, alle proteste selvagge che mettono il rallentatore alle corse della metropolitana, come è accaduto giusto due anni fa, con i treni ostaggio dei macchinisti che proprio non volevano strisciare il badge a inizio e fine turno.
LO SPETTRO ALITALIA
«Mio cognato lavora all'Alitalia, finiremo come loro, con gli esuberi, la gente in mobilità», dicono a Grottarossa, la più grande rimessa Atac di superficie. E lo ripetono nelle sedi dei macchinisti a Osteria del Curato (metro A), alla Magliana, nei depositi della Roma Viterbo e della Termini-Centocelle, la linea con i treni vecchi di 60 anni.
SENZA PEZZI DI RICAMBIO
È qui, nelle rimesse, che si sente di più la crisi di liquidità che ha colpito la più grande azienda pubblica del trasporto locale. Il principio dell'insolvenza. Con i fornitori che hanno accumulato centinaia di fatture non pagate e hanno smesso di fare credito. Soprattutto, non spediscono più i pezzi di ricambio. E i bus restano bloccati nei garage. In attesa di scorte che non arrivano più.
«Ripariamo i bus che ancora circolano smembrando le carcasse di quelli più vecchi», racconta un operaio di Tor Pagnotta. Ma ormai è già stato smembrato tutto il possibile. «Non resta più niente».
Anche la ditta che si dovrebbe occupare delle rimozioni dei mezzi che si fermano per strada, da qualche giorno, ha ridotto il servizio al lumicino. Il motivo è sempre lo stesso: Atac non paga o paga meno del dovuto. E così gli autobus guasti rimangono in strada per ore. «Siamo costretti a ripararli lì», dicono nelle officine. Perché l'azienda comunale da anni non ha più carri attrezzi di proprietà. «E mica possiamo chiamare l'Aci».
CURRICULA E LINKEDIN
I più realisti sono i 47 dirigenti della partecipata del Campidoglio. Racconta un manager: «C'è gente che da settimane ormai ha preso a spedire curricula a manetta, altri che non erano mai stati tanto attivi su Linkedin», il social network delle opportunità di lavoro. Come dire: «Si guarda già oltre Atac, perché la situazione ormai sta precipitando». E c'è la convinzione che la prima sforbiciata al personale, in caso di crisi, potrebbe toccare proprio i dirigenti.