PESCARA Il presente e il futuro dell'Abruzzo. La riforma della Regione e delle società partecipate. Le scelte politiche prossime del presidente Luciano D'Alfonso. Questi e altri i temi trattati nel forum che si è svolto ieri al Centro tra il governatore, il direttore Primo Di Nicola e i giornalisti del quotidiano. Di seguito pubblichiamo un'ampia sintesi del forum che verrà trasmesso integralmente oggi alle 20,30 su Rete 8.Presidente D'Alfonso lei si è presentato nel 2014 con un programma molto impegnativo. Prometteva un Abruzzo veloce, accogliente con le imprese e con 100 mila occupati in più a fine legislatura. Pochi giorni fa il rapporto Svimez ha però descritto un Abruzzo in ritardo persino rispetto al Mezzogiorno, con un Pil che nel 2016 ha registrato un -0.2% rispetto al +1% del Sud. Come legge questo dato?
«È un dato che ci impegna a trovare elementi di riflessione che coincidono con la sospensione dell'energia elettrica all'Abruzzo, nella sua parte più produttiva, Chieti e Teramo, a causa del maltempo. Noi abbiamo avuto una tempesta perfetta che ci ha impegnati due mesi dal 18 gennaio fino alla conclusione di marzo. Però nella lettura della Svimez vedo anche elementi che descrivono l'interesse economico per la collocazione del servizio bancario, che ricomincia all'indirizzo delle imprese; la contrazione del numero delle richieste di concordato e un aumento delle domande di brevetto industriale. Quindi ho la certezza che la fotografia della Svimez venga superata da quello che sta per accadere in questo ultimo scorcio del 2017».
Ribadisce quei 100 mila posti di lavoro a fine legislatura?
«Come veniva fuori quella mia previsione? Se io porto in Abruzzo 2,5 miliardi di euro tra masterplan, fondi Ue, edilizia sanitaria e risorse terremoto, e se si dà luogo a una proceduralizzazione veloce dei lavori, si scatena una grande occasione di lavoro a tempo, con un rapporto in base al quale ogni 100 mila euro investiti valgono 1,5 posti di lavoro».
La settimana scorsa ha invitato il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda in Abruzzo. Che cosa gli chiederà?
«Intanto che i 60 tavoli di crisi magistralmente condotti da Giovanni Lolli possano ottenere il coinvolgimento delle risorse nazionali. Ma chiederò anche che le procedure di semplificazione previste dal decreto legge Mezzogiorno si applichino anche alle caratteristiche abruzzesi». Il dl Mezzogiorno prevede anche l'istituzione di una o due zone Zes (zone economiche speciali, ndr).
L'Abruzzo le avrà? Le avete già individuate?
«Il dl Mezzogiorno è stato concepito a quattro mani fra tre presidenti di Regione (Abruzzo, Emilia e Calabria) e il ministro Claudio De Vincenti. Sono anni che lavoro su questa idea dell'azzeramento delle procedure, e ho lavorato per fare in modo che con un emendamento si togliesse al decreto un limite per l'Abruzzo: il fatto che non siamo dentro le reti di rilevanza internazionale. Faremo un'unica Zes insieme al Molise. Come centro strategico avrà la nostra portualità e, poiché non c'è l'obbligo della continuità geografica, ci saranno certamente Atessa e Avezzano e ci saranno le grandi aree chiamate a ospitare nuove imprese senza stravolgimento di suolo».Per lavorare a progetti come la Zes c'è bisogno di una macchina amministrativa efficiente. Di quella regionale lei ha avuto sempre qualche perplessità, considerandola pletorica e non sempre qualificata, tanto da annunciare a inizio mandato una "rivoluzione amministrativa".
A che punto è questa sua riforma?
«In Regione ci sono numerosi dipendenti che fanno benissimo il loro lavoro. Però, è vero, la Regione ha avuto troppi dipendenti, e ha subìto anche una esternalizzazione del lavoro, per esempio, per i centri di assistenza tecnica. Io ho fatto in modo di ridurre i dipendenti e di alzare la piramide delle competenze. I 1.700 dipendenti erano e sono troppi, oggi ne abbiamo 1.250. L'obiettivo è arrivare a 900 dipendenti. Per ogni dieci che andranno in pensione ne assumeremo uno con sistemi selettivi che producano innovazione».
Un'analoga rivoluzione dovrebbe riguardare, come chiede il governo, anche le società partecipate.
«Annuncio qui che dovremo porre a fusione anche le società destinate alla vita delle imprese. È anomalo che due fratelli gemelli siano in competizione tra loro come Fira e Abruzzo sviluppo. Mentre si possono prendere in braccio e dimagrire. E faremo anche una semplificazione delle società di servizi per l'agricoltura, sapendo però che ai ricercatori si aggiunge anche personale amministrativo, che in parte proverò a destinare all'interno di alcuni colossi industriali che hanno bisogno di una figura del genere a testa. Esistono insomma questioni che ammontano al passato. Per esempio, il Ciapi, concepito nell'altro secolo, fatto da persone straordinarie che devono reinterpretarsi, perché oggi la formazione va fatta dentro le aziende è non più in un luogo sconnesso. Infine pago personale in divisa dentro la regione. Sto cercando di capire se posso evitare quell'onere e mettere nella reception parte del personale di quelle società».
L'azione della Regione è frenata anche da un debito di 770 milioni che la Corte dei conti vi ha chiesto di coprire. Come pensate di farlo?
«Abbiamo 770 milioni di debito non coperto. La Corte dei Conti ci dice di mettete in ordine i documenti contabili e di dare copertura al debito non coperto, perché non esiste società che non abbia contezza rilevata del debito e copertura del debito rilevato. Noi abbiamo mantenuto al centro il diritto-dovere di assicurare i servizi degli abruzzesi (per esempio il trasporto dei disabili). E abbiamo dialogato con il governo del paese, dicendo che, poiché non siamo i responsabili di quel debito, serve uno strumento per ripianarlo non in dieci anni ma in venti anni. Ho appreso nei giorni scorsi che il ragionerie generale dello Stato ha dato parere favorevole al rientro in vent'anni. Chiaramente per noi è sempre un onere, ma rientrare in dici anni avrebbe voluto dire azzerare ogni nostra agibilità».
Lei lavora molto e qualcuno dice troppo. E' un fatto però che molti collaboratori l'hanno abbandonata. È così?
«Io credo molto nei miei collaboratori ma chiedo loro moltissimo. Non c'è ombra di dubbio che un lavoratore che si distingue è Silvio Paolucci, un altro è Giovanni Lolli. Lavora molto Camillo D'Alessandro, lavorano molto gli altri assessori e consiglieri. La condizione che io pongo è che facciano il massimo, che concepiscano il come, e soprattutto che producano il cosa fare. E ho un direttore generale, Vincenzo Rivera, che conosce il come fare. Faccio un esempio. C'è il problema di come introdurre nuovo personale nel quadro delle ristrettezze finanziarie. Ebbene, faremo partire a settembre concorsi riferiti a nuovo personale o a personale interno, ma ci fermeremo il giorno dell'immissione in servizio. Perché quel giorno dovrà coincidere con la delibera di approvazione di tutti gli atti contabili. In un'altra fase si sarebbe partiti quel giorno con i concorsi. Noi lo facciamo subito. Questa idea la devo a Rivera».
Qual è il risultato che la soddisfa di più e qual è la sua bestia nera? La cosa che non è ancora riuscito a fare?
«Il risultato di cui sono più soddisfatto è il masterplan: 1,5 miliardi spalmati in tutto il territorio. Ma c'è anche la battaglia di Ombrina, condotta da una postazione innaturale. Su Ombrina ho promosso io il referendum, spiegando che il referendum lo utilizzavamo per dialogare con Palazzo Chigi. Terzo risultato: il salvataggio dell'aeroporto d'Abruzzo che era morto con la norma fiscale sui voli low-cost, al quale ho fatto fare un'inversione ad "U"».
E la sua bestia nera?
«La cosa per cui mi prenderei a scudisciate sono le liste d'attesa della sanità».
E come le risolverebbe?
«Con il sistema dei vasi comunicanti tra pubblico e privato. Quando c'è il troppo pieno nel pubblico interviene il privato, ma senza oneri aggiuntivi, all'interno di un quadro già definito».Cioè?«Il pagamento deve stare nel patto generale che sottoscrivi a inizio anno, dove dico qual è la mia domanda di diagnostica. Certo, potrei dire: faccio più assunzioni nel pubblico, investo in macchinari. Ma è un ragionamento che non regge, perché nel pubblico c'è un mondo interessato a organizzare i ritardi che non vuole la puntualità. Io devo organizzare questo livello di collaborazione pubblico-privato che, chiaramente, evoca appropriatezza della domanda».
Presidente, mancano due anni e mezzo alla fine della legislatura, ci sono molte cose da fare, ma la sua maggioranza è sempre in fibrillazione perché poggia su numeri risicati. Il presidente del Consiglio regionale Giuseppe Di Pangrazio sostiene che occorrerebbe modificare lo statuto e permettere l'ingresso di più assessori esterni. È d'accordo?
«La Regione Abruzzo si è dotata di una legge elettorale fatta in modo che chi vince vince il meno possibile e chi perde perde il meno possibile. Noi dobbiamo fare una legge elettorale che dia e consenta il governo e che crei solidarietà tra i territori. Io alle regionali ho fatto il vietnamita sapendo che tipo di legge elettorale era. E ho fatto numerose liste civiche per dare sostegno alla struttura da Biancaneve del Pd».
E si è anche alleato con liste civiche come quella di Andrea Gerosolimo, suo assessore, che oggi le dà filo da torcere.
«Gerosolimo è una risorsa del centrosinistra. Con lui non si può essere sonnolenti. Con lui c'è una collaborazione competitiva, soprattutto nel suo territorio. Ma io non ho mai pensato alle coalizioni come a un ricovero di sonnolenti». Si ricandiderà alla guida della Regione, oppure farà il salto a Roma, come molti sostengono?«Non mi sono mai autocandidato in vita mia. Sono molto contento di fare il presidente della Regione. Certo, mi piacerebbe anche fare il Parlamentare o qualcosa di livello superiore, ma sento anche la responsabilità del mio incarico».
E dunque?
«Farò quello che mi verrà chiesto, come sempre. Ma posso dire che lavorerò per fare in modo che in Abruzzo torni un incarico di governo. Perché voglio che l'Abruzzo esca fuori dalla pesatura demografica. E abbiamo bisogno di un interprete che ci difenda dalla confusione che arriverà da Roma nei prossimi 30 mesi».
Dunque se le chiedono di ricandidarsi in Regione?
«Porrò la condizione delle primarie. Non accetto una ricandidatura di tipo postale. Pretendo una investitura della cittadinanza. Nei primi giorni di settembre farò una grande iniziativa, dove raccoglierò persone significative della regione e chiederò a numerosi abruzzesi di capire chi sono gli altri interpreti di questa regione. Con loro voglio costruire una rete per l'Abruzzo».
Se invece lei dovesse andare a Roma, ha un nome che vedrebbe bene come suo erede?
«C'è una persona che ha le naturali caratteristiche per fare questo e anche altro. Ed è una persona che mette tutti in sintonia».
Il nome?
«Una persona che non avrebbe difficoltà è Giovanni Legnini, anche perché avrebbe potuto farlo pure l'altra volta (e ci siamo infatti trovati diligentemente insieme a ragionare su chi faceva cosa). Anche se lui è destinato a incarichi di natura istituzionale, come ha dimostrato in questo tempo. A Giovanni auguro di interpretare a livelli ulteriormente istituzionali la rappresentanza dell'Abruzzo, poiché ha dimostrato una dimestichezza e una sicurezza che davvero sarebbe un peccato se dovessimo toglierlo da lì perché abbiamo una penuria qui. Accanto a lui, dico cioè sotto di lui, ci sono ulteriori offerte che devono essere condivise da una comunità politica. Sia offerte innovative interne che esterne alla comunità politica. Ci sono almeno cinque nomi che potrebbero farsi carico di questa grande fatica».