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Data: 07/08/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Manovra, più fondi al collocamento

ROMA È un altro dei cantieri aperti in vista della legge di bilancio: le politiche attive del lavoro - l'insieme degli interventi pubblici finalizzati a far trovare un'occupazione in particolare a chi fa fatica a reinserirsi - sono storicamente un tallone d'Achille del nostro Paese. Nonché uno degli ambiti nei quali l'Unione europea ci chiede di fare di più. Con la prossima manovra il governo punta dunque a rafforzarle, anche se i contorni esatti delle misure andranno naturalmente definiti sulla base dell'impianto generale e delle risorse disponibili, per cui una parte del pacchetto potrebbe essere rinviato al prossimo anno.
GLI IMPEGNI
Sul punto comunque sono stati presi alcuni impegni anche nel corso del recente tavolo di confronto con i sindacati, a cui hanno partecipato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Due i temi principali. Il primo è il funzionamento dei centri pubblici per l'impiego, finora rimasti sospesi in assenza di certezze sul personale che li deve gestire. La vicenda è per certi versi un effetto collaterale della riforma delle Province, perché dopo il riordino che ha ridimensionato questi enti la competenza sarebbe dovuta passare alle Regioni ma è rimasto irrisolto il tema delle risorse necessarie. Ora il governo si è impegnato a pagare con fondi nazionali il personale a tempo indeterminato e a stabilizzare altre 1.600 persone finora coperte da finanziamenti europei.
LA PRIMA FASE
Poi c'è l'assegno di ricollocazione. Si tratta di uno strumento che ha debuttato da poco da poco, gestito dalla nuova Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (Anpal). Obiettivo dell'assegno (da 250 a 5.000 euro l'importo, variabile in base alla difficoltà della situazione) è aiutare il disoccupato a trovare un nuovo lavoro, attraverso un programma che prevede anche la presenza di un tutor. La somma viene erogata non all'interessato, ma all'agenzia per l'impiego o l'ente che assicura la ricollocazione lavorativa. Finora lo strumento è stato gestito a livello sperimentale, su un gruppo ristretto di utenti selezionati in base ad un campione statistico e non ha avuto grande diffusione. Si tratta di andare verso la fase a regime. L'esecutivo sarebbe disposto a far cadere in determinati casi un vincolo che finora ha limitato l'utilizzo dell'assegno, ovvero la richiesta che l'interessato per accedere alla prestazione percepisca da almeno quattro mesi l'indennità di disoccupazione Naspi. Questa condizione verrebbe meno nelle situazioni di crisi aziendale.
Un capitolo importante della prossima manovra riguarda poi il contrasto alla povertà. Anche in questo caso esiste uno strumento da poco entrato nel nostro ordinamento, il reddito di inclusione (Rei) che dispone al momento di un finanziamento di 1,6 miliardi per quest'anno, destinati a crescere leggermente nel successivo. Si tratta di disponibilità finanziarie certo non esigue, ma comunque insufficienti a raggiungere in modo adeguato tutte le persone che secondo l'Istat si trovano in stato di povertà assoluta (4,6 milioni secondo l'Istat, pari a circa 1,6 milioni di famiglie. Il primo passaggio prevede quindi una platea di circa 1,8 milioni di persone.
IL CONTRIBUTO
Il reddito di inclusione, che rappresenta la prima forma di contrasto alla povertà gestita a livello nazionale (sostituisce tra l'altro una serie di prestazioni parziali o sperimentali) consiste in un contributo mensile per dodici mensilità oscillante in base alla composizione della famiglia tra i 188 e i 485 euro. Il debutto effettivo del Rei è previsto per settembre.

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