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Data: 09/08/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Allarme pensioni «L'età deve salire a 67 anni». Governo in trincea, per il 2018 ora punta tutto sull'Ape social

ROMA Se non è un allarme, poco ci manca. Nel suo Rapporto sulle Tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico aggiornato al 2017 e appena pubblicato in versione integrale, la Ragioneria generale dello Stato segnala un sensibile incremento della spesa per pensioni rispetto alle previsioni dello scorso. E avverte che un indebolimento dell'attuale meccanismo automatico di adeguamento dei requisiti alla speranza di vita (richiesto dai sindacati e da alcune forze politiche) avrebbe conseguenze potenzialmente pericolose per l'intero sistema. La previsione aggiornata, fa notare la Rgs, «evidenzia un livello del rapporto fra spesa complessiva e Pil significativamente superiore, con una differenza massima di 0,7 punti percentuali attorno al 2040» rispetto a quella che stava alla base del Documento di economia e finanza dello scorso aprile. E le conseguenze si faranno sentire anche sul debito pubblico con «un effetto cumulato in rapporto al Pil di 8,9 punti percentuali nel 2040 e di 32,6 punti percentuali alla fine del periodo di previsione» ovvero nel 2070. Ma da cosa dipende questa maggiore spesa? Per una parte piccola (ma non insignificante) dalle misure dell'ultima legge di Bilancio, quali l'incremento della cosiddetta quattordicesima per i pensionati e alcune forme di flessibilità introdotte rispetto agli attuali requisiti. Ma il grosso della differenza è spiegato dall'effetto combinato del peggioramento delle ipotesi demografiche sottostanti e di quelle di crescita economica, fattori che sono legati tra loro.
In particolare le stime incorporano una lieve diminuzione del tasso di fecondità (ovvero nasceranno meno bambini) e soprattutto del saldo migratorio: in particolare il flusso netto di immigrati si riduce ad un valore medio di 154 mila unità l'anno, contro le 209 mila previste in precedenza. Anche in conseguenza di queste variazioni, si avrebbe un peggioramento della produttività e il tasso di crescita del Pil reale passerebbe da una valore medio annuo di 1,5 a un più modesto 1,2 per cento.

IL QUADRO Il quadro risulta ancora più allarmante se si parte dalle ipotesi demografiche ed economiche elaborate a livello europeo, che sono diverse da quelle italiane. Nonostante Eurostat assuma un flusso di immigrati un po' più consistente (il valore medio nel periodo è di 190 mila l'anno) le stime su produttività e occupazione portano il tasso di crescita del Pil ad appena lo 0,7 per cento, valore pari alla metà della media Ue. E la spesa risulterebbe ancora più alta, al punto di «pregiudicare gran parte degli effetti finanziari del complessivo processo di riforma del sistema pensionistico italiano».
A questo punto la Ragioneria avverte che le cose andrebbero ancora peggio se non fossero applicati gli automatismi previsti dalla legge: quello che sposta in avanti i requisiti di età e anzianità, in base all'aumento dell'aspettativa di vita, e quello che con la stessa logica riduce l'importo dei trattamenti pensionistici. I due aspetti sono connessi, perché andando in pensione prima i lavoratori vedrebbero una riduzione del proprio assegno. Ci sarebbe quindi una forte pressione per cancellare entrambi i meccanismi - argomentano i tecnici del Mef - con l'effetto di far aumentare la spesa di ulteriori 1,3 punti di Pil nel periodo 2040-2045. Il passaggio a 67 anni dell'età della vecchiaia, se non scattasse nel 2019 come richiedono le tendenze demografiche rilevate dall'Istat, dovrebbe comunque essere applicato nel 2021, come richiede una specifica clausola di legge approvata nel 2011 su richiesta della Commissione europea.

Governo in trincea, per il 2018 ora punta tutto sull'Ape social
LA STRATEGIA
ROMA Sulla previdenza, il governo è ormai in trincea. Se fino a poco tempo fa le notevoli riforme previdenziali fatte in Italia negli ultimi venti anni potevano essere esibite a livello internazionale come un titolo di merito, ora il clima sta un po' cambiando e sta venendo meno quella sicurezza da primi della classe che sul fronte interno ha permesso nei mesi scorsi di promettere aggiustamenti e scappatoie in particolare alla legge Fornero, in nome dell'idea che «abbiamo fatto anche troppo».
I segnali sono più di uno. La Ragioneria generale dello Stato indica un aumento della spesa che calcolato sulle base delle più penalizzanti ipotesi demografiche ed economiche europee «vanificherebbe buona parte degli effetti del processo di riforma pensionistica». Nella stessa pagina, il rapporto della Rgs evidenzia significativamente che proprio il processo di riforma è stato «da ultimo oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità comunitarie, a seguito degli interventi adottati dalla legge di bilancio 2017». Insomma le concessioni fatte al tavolo con i sindacati non sono piaciute troppo. Qualche settimana fa poi il corposo rapporto con cui il Fondo monetario internazionale ha concluso la missione Article IV evidenziava le «pressioni sul debito pubblico» derivanti dall'attuale assetto demografico ed economico e suggeriva una serie di misure a dir poco draconiane: dal taglio della tredicesima (oltre che della quattordicesima) per le pensioni retributive, alla stretta sui trattamenti di reversibilità, al ricalcolo su base contributiva delle pensioni in essere, fino all'incremento dei contributi per i lavoratori autonomi. Tutte ipotesi che naturalmente non hanno alcuna possibilità di essere prese in considerazione, meno che mai a pochi mesi dalle elezioni politiche.

LA PARTITA Per il governo Gentiloni però la partita è un po' diversa: è in corso un altro tavolo (la cosiddetta fase due) che dovrebbe concentrarsi soprattutto sulle future pensioni dei giovani. Ma si parla anche di ulteriori forme di uscita flessibile e i sindacati hanno posto il proprio il tema dell'adeguamento automatico all'aspettativa di vita. La richiesta è di sospendere il salto di cinque mesi che scatterebbe in modo automatico e per via amministrativa nel 2019 (ma il relativo decreto deve essere emanato entro la fine di quest'anno), portando tra l'altro l'età della vecchiaia dagli attuali 66 anni e 5 mesi a 67 tondi. Finora l'esecutivo ha preso tempo rinviando tutto a ottobre, quando l'Istat diffonderà i dati demografici definitivi per il 2016 che però difficilmente si discosteranno da quelli provvisori già noti da marzo. L'idea era non toccare gli automatismi ma ammettere eccezioni per determinate categorie. Ora anche questa impostazione potrebbe risultare non scontata. Proprio il rapporto della Rgs ricorda che anche semplici aggiustamenti del meccanismo lo riconsegnerebbero alla dimensione della discrezionalità politica, con conseguente peggioramento della percezione del «rischio Paese» a livello internazionale.
Quanto alla flessibilità, la strategia prevede il potenziamento dell'Ape social, indennità-ponte in vista della pensione riservata a determinate categorie (disoccupati, disabili, lavoratori impegnati in mansioni faticose). Questo strumento ha un vantaggio: la relativa spesa è classificata non tra quella previdenziale ma come prestazione assistenziale. Insomma non peggiora i conti pensionistici, anche se naturalmente richiede allo Stato adeguate coperture. In particolare si pensa di agevolare l'accesso all'Ape alle lavoratrici madri.

IL SUPER-INDICE OCSE La prudenza insomma è una scelta obbligata, soprattutto in questo contesto di ripresa moderata. Qualche indicazione positiva arriva (ad esempio il superindice Ocse evidenzia anche per il nostro Paese un ritmo di crescita più sostenuto quest'anno). Ma gli andamenti della spesa previdenziale si misurano in decenni.

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