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Pescara, 24/07/2024
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Data: 21/08/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Generazione 1980. Milena, Katiuscia, Stefania e il miraggio dei contributi. Anni di studio e gavetta, e l'idea di smettere a 70-73 anni con un assegno leggero. Storie di giovani abruzzesi alle prese con l'enigma previdenza

L'AQUILA Chi ha collezionato decine di stage e tirocinii; chi è andato avanti a suon di lavoretti in nero o con contratti di pochi mesi. Chi passa la vi ta ad aspettare il concorso pubblico. Chi si è laureato lasciando fior di quattrini al sistema universitario e alla fine lavora in un call center senza certezza di futuro. E poi chi è entrato nell'esercito delle partite Iva ma porta a casa guadagni ridotti al lumicino. I giovani di oggi non si accorgono di stare invecchiano senza tutele previdenziali, in pochi sanno cosa sarà del loro futuro. Con l'attuale meccanismo previdenziale, che adegua l'età di uscita dal lavoro all'aspettativa di vita, chi è nato tra gli anni Settanta e gli Ottanta lascerà il mondo del lavoro a 73 anni e 5 mesi. Lo sa bene Katiuscia De Amicis, classe 1980, teramana proprietaria di un centro estetico a Penna Sant'Andrea, aperto con tanti sacrifici e dopo una vita di gavetta. «Lavoro da quando ho 17 anni», racconta, «in base a un calcolo dei contributi raccolti sinora, dovrei andare in pensione tra i 68 e i 69 anni». Vi immaginate un'estetista (categoria artigiani), a fare massaggi e trattamenti, pedicure curvate in due sui clienti fino alla soglia dei 70 anni? «E' un lavoro pesante», dice Katiuscia. «A meno che non hai dipendenti che lavorino al posto tuo». «Ho iniziato a versare una piccola pensione integrativa tramite un'assicurazione privata», spiega, «perché i contributi versati sinora non sono sufficienti». Anche Lucia Alfonsetti e Federico Porfirio, marito e moglie dell'Aquila, stanno valutando la possibilità di ricorrere a una pensione integrativa. Lei laureata in Scienze della Formazione primaria, lui avvocato dalla lunga trafila universitaria, l'esame di Stato per l'abilitazione, il praticantato. Quel praticantato che non ha alcuna valenza lavorativa, per cui non si possono pagare contributi e due anni vengono, così, regalati allo Stato. «Lavoro nella scuola dell'Infanzia da 4 anni, dopo la laurea e il tirocinio», racconta Lucia, «uno dei lavori recentemente riconosciuti come usuranti dal Governo». Per questo la maestra potrà andare in pensione a 63 anni. «Sto valutando la possibilità di accedere a una pensione integrativa», spiega, «perché non sono sicura, essendo entrata tardi nel mondo del lavoro, di riuscire a completare il mio percorso contributivo». Le fa eco il marito, avvocato di 41 anni. Federico lavora come libero professionista da quando ha 33 anni. «Verso i miei contributi alla cassa forense», spiega, «ma credo che non saranno sufficienti per arrivare a ottenere una pensione dignitosa, per questo dovrò lavorare ancora a lungo per versare più contributi». Milena Colagrande, 36 anni e mamma di due bimbi, laureata in Lettere e Filosofia con 110 e lode, ha alle spalle tanti anni di lavoro: dalla fabbrica alla grande distribuzione, e poi un numero incalcolabile di stage. Che non prevedono contributi. Infine, il suo sogno di lavorare nel mondo della scuola grazie al concorso del Governo Renzi. «Insegno da tre anni nella Primaria, credo che la soglia della mia pensione arriverà intorno ai 67 anni», spiega. Dal 2010 Milena sostiene una forma di previdenza complementare tramite la sua banca. Dal rugby al call center, dove per 10 anni è stata assunta con contratti di poche settimane con agenzia interinale, fino allo staff politico dell'ex sindaco dell'Aquila. Una vita al lavoro quella di Stefania Mannucci, 39 anni, ex capitana della squadra femminile dell'Aquila rugby. «Sono disoccupata da quando è cambiata l'amministrazione», racconta, «e per questo non posso pagare nessuna forma complementare di pensione». Stefania può contare su 700 giorni di assegno di disoccupazione, ma nel frattempo la ricerca di lavoro non si arresta. «Forse andrò in pensione a 80 anni», dice ironicamente.

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