Il rapporto Giampaolino dovrebbe planare sulla scrivania di Virginia Raggi già venerdì, al massimo lunedì della prossima settimana. La relazione, curata dall'esperto di diritto commerciale chiamato dal M5S per salvare Atac dal crac, punta sul concordato preventivo. Tanto che in queste ore già si sta ragionando sulla suddivisione in classi diverse dei creditori della partecipata, per capire a quali dare priorità nel piano di rientro che verrà sottoposto al vaglio del tribunale. Insomma, nonostante i malumori di una fetta consistente della maggioranza grillina in Consiglio comunale, il management della più grande partecipata dei trasporti d'Italia sembra ormai deciso a imboccare la via del concordato, convinto che sia l'unica praticabile per evitare il default di un'azienda con quasi 12mila dipendenti e che serve un'area di 1.285 chilometri quadrati.
Anche la Raggi avrebbe dato un avallo ufficioso all'operazione, sostenuta dal neo-presidente di Atac, Paolo Simioni, e apprezzata dal M5S nazionale, vedi Casaleggio e Di Maio. La sindaca ha optato per il concordato preventivo, piuttosto che per quello in bianco, considerato più rischioso, pur di convincere anche i consiglieri grillini più titubanti.
I TEMPI
Chi sta seguendo il dossier Atac nell'entourage della sindaca assicura che il passaggio alla procedura fallimentare dovrebbe avvenire in tempi brevi. Ci sarà un voto in giunta, forse già la prossima settimana, poi i primi di settembre dovrebbe essere recapitata la richiesta al tribunale. A quel punto verranno congelati, almeno temporaneamente, i decreti ingiuntivi, i pignoramenti, le azioni esecutive connesse col maxi-debito che sfiora 1,4 miliardi di euro. Una boccata d'ossigeno lunga 120 giorni, il tempo in cui i giudici dovranno esprimersi sul piano di rientro per poi eventualmente nominare un commissario.
I DETTAGLI
Dopo l'azienda dovrà iniziare il faticoso percorso per saldare il suo debito miliardario. La relazione curata da Carlo Felice Giampaolino, professore di diritto commerciale nella facoltà di Economia di Tor Vergata, dovrebbe già ipotizzare a grandi linee le tappe e le partite da saldare in via prioritaria, con le percentuali degli importi da liquidare. Sia per quanto riguarda le banche sia per i fornitori, zavorrati da un credito verso Atac di 325 milioni di euro, tanto da avere sospeso le spedizioni dei pezzi di ricambio nei depositi dei bus.
PARCO MEZZI
Sul versante sicurezza, intanto, l'azienda dei trasporti ha deciso di ritirare il treno che domenica mattina ha viaggiato sui binari della metro B con una porta aperta. Il convoglio, un Caf di nuova generazione, ieri non è stato in servizio sulla linea blu e dovrà essere nuovamente ispezionato e testato dalla ditta di costruzione. Il mezzo, tre giorni fa, aveva percorso i binari per cinque stazioni, dalla fermata di Quintiliani fino a Rebibbia, con un portellone aperto. Il macchinista si è accorto del guasto soltanto al capolinea, nel momento del cambio banco - cioè il passaggio da una cabina di guida all'altra - quando ha attraversato tutto il treno. Prima non si era accesa nessuna spia sul monitor di servizio, né si era attivato il meccanismo che, in caso di porte aperte, impedisce al mezzo di «trazionare», cioè di procedere sui binari.
LO SFOGO DEL DIRIGENTE
Nonostante il gap nella sicurezza - i sindacati denunciano problemi anche ai parabrezza dei treni, «hanno scarsa visibilità», dicono - ieri il social media manager di Atac, Gian Luca Naso, se l'è presa con il passeggero che ha ripreso con il cellulare il clamoroso guasto sulla metro B, perché, secondo il dirigente, avrebbe dovuto «tirare l'allarme anziché filmare». A leggere lo sfogo, sembra quasi che la colpa sia dell'utente, che secondo il manager di Atac sarebbe stato «incapace di reagire».