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Data: 27/08/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni dei giovani, verso più flessibilità e assegno di garanzia

ROMA Su lavoro e pensioni il governo prova a ripartire dai giovani. Se sul primo fronte l'intenzione è ormai chiara, ossia quella di agevolarne l'ingresso nel mercato del lavoro attraverso il taglio dei contributi previdenziali, nel secondo caso l'idea inizia ora a prendere forma. Qualche carta, con molta probabilità, sarà scoperta nell'incontro di mercoledì con i sindacati, convocati al tavolo sulla «fase due» della riforma previdenziale. Dopo aver introdotto l'Ape sociale per permettere il pensionamento anticipato a chi svolge lavori faticosi, e l'Ape volontaria per chiunque voglia lasciare in anticipo il lavoro fino a 3 anni e 7 mesi attraverso un prestito delle banche da restituire in 20 anni a rate sulla futura pensione, l'intenzione adesso è di rendere flessibile l'uscita anche per i Millennials, i giovani nati dopo il 1980 e che dunque sono nel sistema contributivo. In realtà già le regole attuali permettono una certa libertà nella scelta dell'età di pensionamento. Ma è una libertà con molti paletti e che, soprattutto, favorisce chi ha sempre lavorato, senza quei buchi che in diversi casi sono dovuti a carriere precarie. Per chi è nel contributivo, oggi esistono due soglie. La prima consente di anticipare il pensionamento di tre anni rispetto all'età legale, ma a patto che si abbiano almeno 20 anni di contributi e si sia maturata una pensione pari ad almeno 2,8 volte l'assegno sociale. Questo significa che un lavoratore che si trova interamente nel contributivo, potrebbe lasciare il lavoro a 63 anni e 7 mesi invece dei canonici 66 anni e 7 mesi, purché la sua pensione sia almeno di 1.254 euro. Se l'assegno non ha raggiunto questo limite, bisogna attendere fino ai 66 anni e 7 mesi.
IL PASSAGGIO
Ma qui scatta una seconda soglia: si può lasciare il lavoro solo se la pensione è almeno 1,5 volte l'assegno sociale, ossia 672 euro. E chi non lo raggiunge? Deve aspettare altri tre anni, ossia i 70 anni e 7 mesi. Tutte queste età, poi, aumentano con l'aspettativa di vita al pari di quella della pensione. L'intenzione del governo, con la prossima manovra di bilancio, sarebbe quella di eliminare le soglie che obbligano a raggiungere un assegno minimo per lasciare il lavoro e, dunque, anche la necessità di dover rimandare fin oltre i 70 anni il ritiro in caso di pensione insufficiente. Questo di fatto renderebbe l'età del sistema contributivo pienamente flessibile, dando la possibilità sempre di uscire con tre anni di anticipo rispetto all'età legale.
A questo punto però, si arriva alla seconda questione che il governo deve risolvere. Se si eliminano le soglie, una parte dei futuri pensionati rischia di uscire dal mercato del lavoro con una pensione molto bassa e, a differenza del sistema retributivo, non esiste nemmeno una integrazione al minimo. Per evitare che gli attuali giovani, e futuri pensionati, possano trovarsi in questa condizione, l'intenzione è quella di introdurre un «assegno di garanzia». Una proposta in tal senso l'ha già avanzata Stefano Patriarca, uno dei membri della squadra economica di Palazzo Chigi, che ha previsto un assegno minimo di 650 euro. In realtà di proposte ne esistono diverse, compresa quella del presidente della Commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano e della deputata Dem, Miarialuisa Gnecchi. Solo che l'assegno di garanzia per essere introdotto ha bisogno di stanziamenti a carico del bilancio dello Stato. Probabile dunque, che il tema venga solo abbozzato per poi essere rinviato alla prossima legislatura.
La settimana prossima, invece, dovrebbe finalmente essere pubblicato il decreto attuativo dell'Ape volontaria. Il governo avrebbe deciso di rendere lo strumento retroattivo, facendolo partire dal primo maggio scorso. Chi vorrà, potrà andare in pensione a partire dai 63 anni, con un prestito i cui interessi sono in parte a carico dello Stato. La rata, che sarà restituita a valere sul futuro assegno previdenziale, peserà in media il 4,5-4,6% della pensione.
Al tavolo del 30 agosto i sindacati porteranno di nuovo anche la questione del congelamento dello scatto a 67 anni dell'età di pensionamento che dovrebbe scattare il prossimo anno. Il governo, per bocca del vice ministro Enrico Morando, non ha lasciato grossi spiragli. Ma le elezioni si avvicinano e il tema è molto sentito nell'opinione pubblica. Si vedrà se il «no» al congelamento resisterà alle pressioni parlamentari.

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