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Data: 31/08/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni dei giovani minimo a 650 euro

ROMA Si parla di cosa succederà alle pensioni di chi il lavoro lo deve lasciare tra venti anni o più, ma anche dei requisiti che saranno in vigore prima, nel 2019, quando l'aumento dell'aspettativa di vita dovrebbe portare l'età della vecchiaia a 67 anni tondi. Il confronto tra governo e sindacati oscilla tra questi due diversi orizzonti temporali ma l'intesa è più vicina se si parla del futuro e del meccanismo di garanzia per gli attuali lavoratori discontinui che rischiano di ritrovarsi con un trattamento troppo basso.
La richiesta dei sindacati di sospendere gli scatti legati all'evoluzione demografica incontra invece una resistenza piuttosto ferma dal governo, anche se la parola d'ordine ufficiale per il momento è attendere i dati definivi dell'Istat previsti per il mese di ottobre. Ma è molto difficile che quei numeri possano contraddire le stime preliminari del marzo scorso che porterebbero ad un gradino di cinque mesi.
Così ieri al termine dell'incontro al ministero del Lavoro Cgil, Cisl e Uil (rappresentate rispettivamente da Susanna Camusso, Maurizio Petriccioli e Carmelo Barbagallo) non hanno nascosto la propria insoddisfazione. Il segretario generale della Uil si è in qualche modo appellato al Parlamento dove, a suo avviso «sul punto converge una larga maggioranza».
LA PROCEDURA
Il tema dovrebbe essere eventualmente affrontato nella legge di Bilancio, visto che per tornare indietro rispetto alla procedura di adeguamento automatico serve comunque un apposito intervento normativo. Per l'esecutivo però una mossa del genere, come ha ricordato il presidente dell'Inps Boeri, potrebbe pesare oltre che dal punto di visto della spesa pensionistica anche da quello della credibilità internazionale conquistata - a fronte dell'elevatissimo debito pubblico - proprio grazie alle riforme previdenziali messe in atto.
Per la verità Boeri si è detto contrario anche alla proposta dell'esecutivo, presentata ieri al tavolo con le confederazioni di un meccanismo di garanzia per le future pensioni dei giovani. A suo avviso, si finirebbe per sostenere queste persone prelevando risorse (per via fiscale) dalla stessa fascia generazionale penalizzata. Il problema riguarda - come si è detto - coloro che avendo iniziato a lavorare a partire da venti anni fa e ricadendo quindi in pieno nel sistema contributivo rischiano di mettere insieme un trattamento esiguo se hanno buchi di carriera. Davanti a loro si aprirebbero due opzioni: la pensione flessibile a 63 anni e 7 mesi oppure quella di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi (questi sono i requisiti attuali, che andranno comunque aggiornati). Nel primo caso è richiesto di aver maturato un trattamento pari a 2,8 volte l'assegno sociale (circa 450 euro al mese oggi) nel secondo pari a 1,5; chi è sotto dovrebbe continuare a lavorare. Il governo ipotizza di ridurre il primo coefficiente da 1,5 a 1,2 ed eventualmente anche il secondo: a quel punto per evitare che la pensione risulti troppo bassa scatterebbe la garanzia, attraverso il cumulo di pensione e assegno sociale: l'asticella minima verrebbe posta intorno a quota 650 euro.
GLI ALTRI TEMI
Gli altri temi del confronto riguardano la pensione integrativa e il potenziamento dell'Ape sociale. Di quest'ultimo punto, con riferimento in particolare alle lavoratrici, si discuterà nel dettaglio in un incontro della prossima settimana. Quanto alla previdenza complementare, l'idea è usarla come ulteriore strumento di flessibilità in vista della pensione definitva. Sarebbero quindi detassati il Tfr o l'incentivo all'uscita dirottati nel fondo complementare, nel caso in cui gli interessati percepiscano poi la Rita (Rendita integrativa temporanea anticipata) come trattamento-ponte.

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