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Data: 02/09/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Al via i tagli alle partecipate pubbliche. I piani devono essere pronti entro settembre, altrimenti la riforma Madia prevede sanzioni. Entro la fine del mese le amministrazioni pubbliche dovranno mettere a punto i piani di razionalizzazione delle loro partecipazioni, indicando quelle da tagliare secondo i criteri dettati dalla riforma Madia. Non saranno più ammesse quote in società che hanno più amministratori che dipendenti

ROMA Entro la fine del mese le amministrazioni pubbliche dovranno mettere a punto i piani di razionalizzazione delle loro partecipazioni, indicando quelle da tagliare secondo i criteri dettati dalla riforma Madia. Non saranno più ammesse quote in società che hanno più amministratori che dipendenti, in «rosso cronico», o ancora che nulla hanno a che fare con servizi di interesse generale. Una volta stilata la «black list» ci sarà un anno di tempo per disfarsene, fermo restando che le quotate sono escluse dalla scure. A monitorare sul rispetto delle nuove regole sarà una task force del ministero dell'Economia. Un decreto ad hoc infatti attribuisce il monitoraggio al dipartimento del Tesoro che già si occupa di patrimonio pubblico. In particolare sono due gli uffici incaricati e che potranno anche condurre «verifiche a campione». Chi si farà trovare impreparato alla scadenza, rischia di essere sanzionato. Per le amministrazioni, i primi interessati sono di fatto Comuni e Regioni, che non procederanno alla ricognizione delle partecipazioni o non stileranno il conseguente piano di tagli, sono previste multe (fino a 500mila euro). Ma sopratutto si va incontro alla perdita del controllo. Gli enti che non procedono allo sfoltimento non potranno infatti più esercitare i diritti sociali, non avranno più potere, e la loro quota potrà essere liquidata in denaro. Dopo diversi rinvii ora siamo alla prova dei fatti. La razionalizzazione era originariamente attesa per la scorsa primavera ma la sentenza della Consulta sulla delega PA ha reso obbligatoria l'intesa con le Regioni sul decreto. La negoziazione ha anche portato a un ammorbidimento della versione iniziale del testo. Per esempio la soglia di ricavi sotto cui tagliare è stata ridotta da un milione a 500 mila euro per la prima fase di attuazione. Sono però stati confermati gli altri paletti, che mettono fuori le società senza lavoratori, dove il Cda è più numeroso del totale degli addetti, in deficit in quattro degli ultimi cinque esercizi, «doppioni» di aziende già esistenti, o che non si occupano di servizi per la collettività (come trasporto, acqua, energia o rifiuti). A questo punto la domanda è quante società siano a rischio. La risposta è ardua, visto che ci sono diverse incognite di fondo. Innanzitutto nel mirino ci sono le partecipazioni, ovvero le quote detenute dal socio pubblico, e non le società stesse. Ovviamente se la fetta posseduta dalla PA è al 100% lo scarto si annulla, ma nella realtà sono più i casi di «multiproprietà». Dopo di che la razionalizzazione non deve per forza portare alla chiusura o alla vendita, potrebbe anche semplicemente trattarsi di un accorpamento.

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