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Data: 02/09/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Atac, si farà il concordato L'incognita conti di Roma. Via libera al salva-Atac ma è fuga dall'azienda: lascia la manager dei conti. E una società su due fallisce lo stesso

ROMA Atac porta i libri in Tribunale. Non per dichiarare default, come vorrebbero alcuni creditori, ma per mettere sotto la tutela del giudice un debito da 1,4 miliardi di euro, diventato ormai ingestibile. Per la più grande partecipata dei trasporti d'Italia, quindi, è in arrivo una sorta di fallimento assistito. Così ha deciso il Campidoglio a trazione grillina. Il primo passaggio, dopo giorni di indiscrezioni, è stato ratificato ieri, con il voto del consiglio d'amministrazione della società controllata al 100% dal Comune di Roma. Poco prima della seduta, la sindaca Virginia Raggi ha chiamato il presidente e ad della municipalizzata, Paolo Simioni, per dare il via all'operazione, gradita anche alla Casaleggio associati e al candidato premier in pectore del M5S, Luigi Di Maio. Detto, fatto: il Cda si riunisce e vota a favore del «concordato preventivo in continuità». Già la prossima settimana la giunta pentastellata dovrebbe ratificare l'ok alla procedura prevista dalla legge fallimentare. Quando? Probabilmente già venerdì 8, il giorno dopo la riunione dell'Assemblea capitolina convocata in via straordinaria per affrontare la crisi nera dei trasporti romani. Superato questo passaggio, entro venerdì 15 dovrebbe essere consegnata la richiesta al Tribunale.
I TEMPI
I tempi, d'altronde, sono stretti, strettissimi. La spada di Damocle sul piano Salva-Atac immaginato dal M5S è l'istanza di fallimento presentata l'altro ieri da uno dei 1.190 creditori della partecipata, una delle ditte che si occupano dei rifornimenti di carburanti e che ha maturato, da sola, fatture non pagate a sei zeri. Del resto, come evidenziano tutti i report interni, Atac paga mediamente con 256 giorni di ritardo (quasi il tempo di una gravidanza...) e i conti non saldati con le imprese sono lievitati fino a superare i 247 milioni di euro. Ora l'Atac deve muoversi prima che venga discussa l'istanza di fallimento, cioè entro 30 giorni dalla presentazione.
Per farsi assistere nella procedura di concordato, il Cda ha già scelto l'advisor finanziario, sarà la società Ernst Young. Toccherà ai consulenti esterni redigere il piano di rientro da sottoporre al vaglio dei giudici entro 180 giorni dall'avvio della procedura, sempre che venga accettata dal Tribunale.
Ma il vero nodo, a questo punto, è la tenuta dei conti del Campidoglio, che nei confronti di Atac vanta un credito da 429 milioni. In caso di concordato, la quota del Comune andrebbe in coda alla lista dei creditori da risarcire (in cima c'è il Fisco). Nel caso in cui il giudice optasse per un taglio massiccio del debito, il Campidoglio dovrebbe svalutare una fetta consistente dei suoi crediti. E rischia di crearsi un buco nelle casse di Palazzo Senatorio. «Avrebbe un impatto pesantissimo sul bilancio di Roma», hanno già messo in guardia i revisori dei conti. È una partita delicata, che dovrà gestire il neo-assessore al Bilancio Gianni Lemmetti. Il suo predecessore, Andrea Mazzillo, lasciò il Campidoglio proprio per la sua contrarietà al concordato. «Si rischia di passare dal commissariamento di Atac a quello del Comune», disse. Anche perché proprio in questi giorni devono essere conciliati, tra la municipalizzata e il Campidoglio, centinaia di milioni di euro di debiti e crediti mai riconosciuti ma iscritti nei rispettivi bilanci. Tutto entro il 30 settembre, quando per la prima volta va approvato il bilancio consolidato, il documento che tiene insieme il bilancio del Comune e quello delle sue partecipate. E non possono esserci contenziosi in atto tra le parti. Il debito di Atac - confida chi sta lavorando al dossier - rischia di sfondare il tetto di 1,5 miliardi.
VIA IL DIRETTORE FINANZIARIO
Virginia Raggi però non sembra spaventata. Il concordato, secondo la sindaca, «avvia un rinnovamento totale». Atac, dice Raggi, «deve rimanere pubblica. Chiediamo ai dipendenti e ai cittadini di seguirci, tuteleremo i livelli occupazionali». I bellicosi sindacati interni però, come prevedibile, già issano le barricate, minacciando uno sciopero selvaggio, sul modello di quello che paralizzò la metro nel luglio 2015. Il Comune prova a gettare acqua sul fuoco - c'è un tavolo con i sindacati per mercoledì - ma la miccia della rivolta sembra innescata. Giovedì, durante la seduta del Consiglio comunale, è in programma un presidio in piazza del Campidoglio. Alcune mini-sigle hanno già indetto uno sciopero per martedì 12 settembre; e i confederali ne preparano un altro ancora. Mentre il Pd tuona contro «la strategia Casaleggio» dei «libri in tribunale», lascia l'azienda l'ennesimo manager: dopo il diggì Bruno Rota, il direttore operativo Alberto Giraudi, è in uscita anche il direttore finanziario Maria Grazia Russo.

Via libera al salva-Atac ma è fuga dall'azienda: lascia la manager dei conti `

Signori, si scende. L'altro giorno si è dimesso il numero due dell'Atac, il direttore operativo Alberto Giraudi. Ieri, nel giorno del sì del cda al concordato preventivo, una seconda defezione, anche se non ufficiale, era nell'aria: in questo caso si tratta del direttore finanziario, Maria Grazia Russo, che si appresta a lasciare una poltrona non proprio comoda in un'azienda che viaggia con un debito di 1,4 miliardi di euro. Nei giorni dell'avvio della procedura di concordato preventivo chi può se ne va da Atac, a conferma dell'instabilità cominciata un mese fa con le dimissioni del dg Bruno Rota e il siluramento del presidente Manuel Fantasia.
LA BASE
La grande paura, che serpeggia anche nella base del Movimento 5 Stelle tenendo sempre conto che Atac era stato un bacino di voti straordinario per Virginia Raggi, è che il percorso del concordato preventivo non vada come previsto: per Atac ci sarebbe la catastrofe del fallimento in caso di flop del piano di risanamento, che dovrà essere scritto con la supervisione del commissario nominato dal tribunale fallimentare, verificato da un professionista indipendente, passato al vaglio del giudice delegato e votato dall'assemblea dei creditori; allo stesso tempo, il piano potrà obbligare a misure lacrime e sangue, come la riduzione del personale (soprattutto per la parte degli impiegati) o il taglio della contrattazione integrativa, che significa interventi sugli stipendi. Per questo nel gruppo consigliare M5S c'è grande preoccupazione. Osserva l'ex assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo (che si era opposto al concordato): «La nostra base è molto contrariata da questa strada che è stata intraprese, perché va nella direzione opposta da quanto indicato nel programma, dove parlavamo di miglioramento dei servizi pubblici. Qui invece la politica rinuncia alle sue responsabilità e affida a un giudice il compito di salvare Atac».
Cosa succederà ora? Ieri la sindaca Virginia Raggi, prima del voto nel cda, ha chiamato Paolo Simioni (presidente, ad e direttore generale dell'Atac) per confermare la linea; successivamente si è sentita con Enrico Stefano, presidente della Commissione trasporti, per prevenire eventuali malumori del gruppo consigliare. Piccola parentesi: magari è solo un caso ma ieri su Twitter a un utente che chiedeva se c'erano novità sul bando di gara per l'acquisto di 80 bus a metano, Enrico Stefano ha risposto lapidario e anche un poco polemico: «Dovresti chiedere a Linda Meleo, io ho già chiesto più volte in commissione di accelerare». Comunque, già la prossima settimana l'avvio della procedura del concordato preventivo sarà votato anche in giunta. Passaggio successivo, ma più politico che amministrativo, il 7 settembre, quando in aula Giulio Cesare è previsto il dibattito su Atac. Infine, se non ci saranno variazioni a questa tabella di marcia, nella seconda metà del mese sarà presentata formalmente al tribunale fallimentare l'istanza per l'avvio della procedura di concordato preventivo. A quel punto, il tribunale dovrà valutare la documentazione prodotta e avviare formalmente la procedura con riserva: ci saranno poi 60 giorni, prorogabili fino a 180 per stilare il piano di risanamento, con il controllo del commissario nominato dal tribunale. Piano che dovrà, tra l'altro, essere approvato anche dall'assemblea dei creditori. C'è un altro elemento di difficoltà nella fase transitoria: qualsiasi iniziativa, come chiedere un mutuo, dovrà essere valutata dal commissario. Non solo: Atac si presenta a questa fase tanto delicata, senza l'approvazione del bilancio del 2016 e soprattutto senza un piano industriale.

E una società su due fallisce lo stesso

Inizialmente attaccato perché considerato troppo morbido (e dunque poco protettivo con i creditori) il concordato «in bianco» è la forma più soft tra quelle che accompagnano le aziende nella gestione delle insolvenze. Spesso, però, si rivela un boomerang: gli analisti spiegano che la metà dei concordati in bianco si risolve comunque con il fallimento dell'azienda. Perché il piano di pagamento, elaborato sotto la supervisione di un giudice, non regge comunque alla prova dei fatti.
LA LEGGE
La formula del concordato in bianco è stata introdotta con la legge fallimentare del 2012 e permette all'impresa di mantenere la continuità aziendale (dunque, di non chiudere) mentre elabora, sotto il controllo del tribunale, un piano da sottoporre ai creditori. Il controllo del tribunale, però, è un'arma a doppio taglio: nel 2013, quando la nuova formula era stata battezzata da poco e la crisi trascinava migliaia di aziende in tribunale, il Cerved rivelò che la metà di quei piani di rientro si risolveva comunque con un fallimento. «I numeri non sono cambiati se non di alcuni decimali», conferma un esperto del settore fallimenti.
I TEMPI
Il meccanismo ha ritmi piuttosto rigidi: il debitore presenta la richiesta di concordato al tribunale, elabora un piano di rientro sotto il controllo del magistrato che può arrivare ad intervenire nella gestione dell'impresa. Se allo scadere del termine previsto dal magistrato - da 60 a 120 giorni, rinnovabili di altri 60 - il debitore propone un piano che non rientra nei termini di legge, il tribunale dichiara il fallimento e la stessa cosa accade se i creditori votano a maggioranza di rifiutare la proposta del debitore. Il giudice, però, escluso il caso dei creditori privilegiati, può scegliere di annullare alcuni contratti sottoscritti dall'azienda.
Proprio l'esistenza di tempistiche certe, permetterà di sapere entro sei mesi il futuro di Atac. Il patrimonio rimarrà comunque congelato in attesa delle decisioni.

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