ROMA Rimangono trenta giorni di tempo per il taglio delle società partecipate. Per le amministrazioni dello Stato, i Comuni e le Regioni è partito il conto alla rovescia per la presentazione dei piani di razionalizzazione delle società pubbliche inutili o in rosso. Le liste con le aziende da depennare dovranno essere ultimare entro la fine del mese, come previsto dalla riforma Madia. Per chi non si adegua scattano sanzioni fino a 500 mila euro o la perdita dei diritti sulla stessa società. Una volta messo a punto l'elenco, le amministrazioni avranno un anno di tempo per disfarsene, fatta eccezione per le società quotate che fin dal principio sono state escluse dal taglio.
Il Tesoro è incaricato di monitorare che la riforma porti risultati soddisfacenti. Una task force, formata da due uffici del ministero dell'Economia, vigilerà sull'applicazione effettiva dei tagli, con verifiche a campione sulle diverse società, e metterà a punto le regole pratiche per la chiusura delle società nelle black list.
GLI ESUBERI
Il ministero della Funzione pubblica non ha mai quantificato il possibile risparmio della chiusura delle partecipate, ma alcune stime informali circolate parlando di un miliardo di euro. La riforma è stata approvata con due differenti decreti, complice la sentenza della Corte costituzionale dello scorso anno che ha costretto il Governo a rinegoziare con le Regioni alcuni aspetti della legge. Porterà alla chiusura delle società in rosso (in deficit in quattro degli ultimi cinque esercizi), quelle con più amministratori che dipendenti e quelle con i fatturati più bassi. Dopo le trattative con gli enti territoriali, alle società, in particolare quelle più piccole, è stato concesso un periodo ponte di tre anni (2017-2019) in cui la soglia minima di fatturato dovrà essere 500 mila euro e non il doppio come previsto nella prima versione della riforma. Dal 2020 il tetto tornerà a crescere e per rimanere in vita dovranno raggiungere la soglia minima di un milione di euro nel triennio. Il vincolo probabilmente porterà alla fusione delle aziende più modeste. Cadranno poi i doppioni di aziende già esistenti o che non si occupano di servizi per la collettività, come il trasporto pubblico, la distribuzione dell'acqua e dell'energia elettrica, o lo smaltimento dei rifiuti.
Nel frattempo il ministero della Pa e quello del Lavoro stanno studiando un meccanismo per gestire il personale in esubero, che con il taglio si ritroverebbe senza lavoro. Il decreto interministeriale è in preparazione, ma i tempi stringono in quanto gli elenchi degli esuberi dovranno essere pronti per il 30 settembre, in parallelo con la presentazione delle liste delle società da cancellare. Come deciso d'intesa con le Regioni, per evitare di licenziare si ricorrerà alla mobilita, trasferendo i dipendenti in questione da una società all'altra, fino al totale ricollocamento. Ci sono anche altre questioni da risolvere. Innanzitutto l'armonizzazione delle qualifiche professionali, la definizione di una distanza massima per gli spostamenti, che dovrà essere quantificata in chilometri, e infine c'è da stabilire se un lavoratore può, e quante volte, rifiutare il trasferimento. Sarà appunto il decreto congiunto a sciogliere questi ultimi nodi.