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Pescara, 24/11/2024
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Data: 03/09/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Trasporti pubblici: sfida in tribunale. Regione contro aziende. Causa da 16 milioni. L'ente non paga. Lo scontro finisce davanti ai giudici aquilani

L'AQUILA Sulla Regione pende una spada di Damocle che vale sedici milioni di euro. Soldi, tanti soldi, da pagare alle società di trasporto pubblico locale. E' un macigno che può abbattersi sulle casse dell'ente mettendone in crisi i bilanci. Ma la Regione non ci sta a sborsare la cifra milionaria. Si arma e va al contrattacco opponendosi ai decreti ingiuntivi già firmati e portando in tribunale le società che garantiscono il trasporto pubblico in Abruzzo. Il 7 settembre, all'Aquila, ci sarà infatti la prima udienza che vede schierati, l'uno contro gli altri, la Regione e le società Di Fonzo, la Panoramica, Di Giacomo e Napoleone. A questa udienza ne seguiranno altre con otto restanti aziende che battono cassa. Sono società di trasporto pubblico che hanno ottenuto dal presidente del tribunale dell'Aquila, Ciro Riviezzo, il via libera ai decreti ingiuntivi milionari.
CREDITO CERTO. E' chiaro oltre che laconico il giudice Riviezzo che, nell'atto che pubblichiamo in alto, scrive: «Dai documenti prodotti il credito risulta certo, liquido ed esigibile nei confronti della Regione Abruzzo». Lo stesso giudice concede all'ente quaranta giorni di tempo, dalla notifica del decreto ingiuntivo, per saldare il debito con le società di trasporto. Ma Riviezzo dà alla Regione anche il diritto di proporre opposizione. E quindi di portare in un'aula di tribunale le società che vantano i crediti.
QUALI SONO. Alle quattro aziende già citate, Di Fonzo di Vasto, Di Giacomo di Liscia, la Panoramica di Chieti e Napoleone di Ortona, si aggiungono Cerella Di Vasto, l'Ama dell'Aquila, che è l'unica società pubblica nella lista, la Baltour di Teramo del presidente degli industriali abruzzesi, Agostino Ballone, la Di Carlo Bus di San Salvo, Satam di San Giovanni Teatino, Civitarese di Ortona, Passucci di Atessa e la Scav di Avezzano. Al centro del contenzioso c'è la decisione della Regione di interrompere il pagamento alle aziende del cosiddetto "contributo per la copertura dei contratti nazionali del 2003, 2004 e 2006".
CHE COSA SIGNIFICA. Ogni anno, a partire dal 2004, i circa 2.200 dipendenti del trasporto pubblico locale, un piccolo esercito composto da autisti, controllori, meccanici e amministrativi, hanno sempre ricevuto, sulla base di una legge nazionale, 6.500 euro pro capite in busta paga. Per una somma complessiva di 16 milioni di euro l'anno. Tutto è filato liscio per undici anni anche perché, fino al 2014, il contributo è stato riconosciuto e pagato con fondi statali girati alle Regioni. Ma l'onere è poi passato direttamente agli enti locali. E nel caso della Regione Abruzzo, questa solo per il primo anno, il 2015, ha onorato l'impegno. Ma a gennaio scorso ha deciso di bloccare i pagamenti.
CASSE CHIUSE. Che cosa accade il 30 gennaio? Da un documento dll'Anav (Associazione nazionale autotrasporti viaggiatori) risulta che quel giorno, negli uffici di Pescara del Dipartimento trasporti della Regione, si svolge un incontro tra una delegazione di imprenditori e i rappresentanti dell'amministrazione regionale Camillo D'Alessandro, che ha la delega ai trasporti, Antonietta Picardi, Giovanni Marchese e Mario Litterio. In quel contesto, senza alcun atto formale impugnabile davanti al Tribunale amministrativo, la Regione avverte le imprese che il contributo, riferito al 2016, non sarebbe stato erogato. Così come «non sarà erogato», si legge nel resoconto dell'incontro, «per il 2017 e per le successive annualità». Il motivo? Secondo la spiegazione data a gennaio all'Anav «per mancanza di fondi regionali». D'Alessandro ha invece dichiarato ieri al Centro che, in base a una norma nazionale, il contributo non è più dovuto «perché già compreso nei finanziamenti erogati ogni anno alle imprese sulla base dei chilometri percorsi». Per le aziende di trasporto però è diventato un onore economico troppo pesante da reggere. La stessa vicenda giudiziaria è accaduta in Campania dove la Regione è stata condannata a pagare.

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