ROMA Il gioco del cerino sulla legge elettorale riprende oggi alla Camera. A sei mesi, circa, dalla fine della legislatura. A ridosso della sessione di bilancio che per un paio di mesi impedirà alle Camere di occuparsi d'altro. Si riparte dal testo rimesso tre mesi fa nel cassetto dopo l'accordo a quattro tra Pd, FI, M5S e Lega saltato a causa di un emendamento sulle minoranze linguiste proposto da FI, contestato dal Pd e approvato a scrutinio segreto.
LE FORZE Si riparte dal simil tedesco - messo a punto dal relatore Emmanuele Fiano - per provare a cancellare l'Italicum e dare al sistema elettorale un minimo di omogeneità che permetta al Paese di avere un governo e una maggioranza stabile. Obiettivo difficile da raggiungere con due camere e tre poli, ma più volte il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha invitato le forze politiche a lavorare per trovare un'intesa.
Interessi, sospetti e veti incrociati, rendono però complicato l'accordo. La maggioranza non ha i numeri per approvare da sola un testo al Senato. Le opposizioni, FI, M5S e Lega, hanno interessi diametralmente opposti e alla Camera la possibilità di chiedere su molti aspetti della legge il voto segreto, rende complicatissimo il tentativo. E' per questo che prima della pausa estiva Paolo Romani, capogruppo azzurro a palazzo Madama, aveva proposto di trasferire il dibattito al Senato. Un'idea sostenuta anche dal presidente del Senato Pietro Grasso, ma che fa i conti con una sorta di campanilismo parlamentare che, almeno per ora, impedisce traslochi.
Il rischio che alla fine si vada a votare con i sistemi frutto delle due sentenze della Consulta, armonizzati in minima parte da un decreto legislativo del governo, è molto alto ma, come è noto, la speranza è l'ultima a morire. Matteo Renzi, scottato dall'ultimo tentativo, non intende fare la prima mossa e attende proposte dagli altri partiti limitandosi a sostenere che l'intesa deve essere non più a quattro, ma deve avere anche il via libera dei centristi di Alfano. I più interessati alla correzioni dell'Italicum sono gli azzurri che premono per levare le preferenze. I più disinteressati sono i pentastellati che si ritrovano una legge elettorale abbastanza su misura anche perchè non obbliga alle coalizioni.
La discussione che riprende oggi alla Camera ha come dead-line la data del 12 settembre, giorno in cui il testo dovrebbe essere votato e passare all'esame dell'aula. Non può però escludersi che alla fine le forze politiche decidano un nuovo rinvio. Stavolta a dopo le elezioni siciliane nelle quali i partiti misureranno realmente il proprio peso. Secondo qualcuno dopo il 5 novembre - ed un eventuale sconfitta siciliana dovuta anche alla corsa solitaria di Mdp e SI - Renzi potrebbe abbandonare definitivamente l'idea di un Pd a vocazione maggioritaria e aprirsi ad un sistema con differenti premi di coalizione. Esattamente ciò che vogliono nel Pd i ministri Orlando e Franceschini e che piace ai centristi di Alfano come a Berlusconi. Renzi, come si è visto già a giugno con il tentativo di accordo sul tedesco poi fallito, non ha una passione per un sistema elettorale o un altro. E' piuttosto interessato a ribadire la centralità del Pd, e ovviamente della sua leadership, come unica alternativa al populismo pasticcione del M5S - che nemmeno la trasferta a Cernobbio ha oscurato - e alla deriva leghista del centrodestra.
La strada è comunque molto in salita anche perché il tempo non è molto e dopo il varo della legge di bilancio sarà ancor più complicato raggiungere un'intesa. Difficoltà ben note al Quirinale dove non si fanno, con realismo, più troppe illusioni. Lo scioglimento delle Camere da parte del Capo dello Stato dopo il 31 dicembre potrebbe così rivelarsi questione di giorni, appena varata la finanziaria, in modo da andare a votare a metà marzo. A meno che in uno dei due rami del Parlamento non sia stata votata una nuova legge elettorale. Solo in questo caso è possibile che la legislatura possa durare ancora qualche settimana.
LA META Lo sbarramento all'8% al Senato previsto dall'attuale legge, come i capilista bloccati e un premio di maggioranza fissato molto in alto (40%), dopotutto piacciono ai partiti più grandi, M5S in testa. L'esito delle elezioni siciliane potrebbero però diventare un ulteriore campanello d'allarme sui rischi di ingovernabilità del Paese e spingere il Pd a trovare un'intesa. A patto che nessuno della nascente coalizione colga l'occasione del risultato siciliano per mettere di nuovo in discussione la leadership di Renzi e la sua possibilità di tornare a palazzo Chigi.