PESCARA La forza dei numeri e le ragioni della politica. In entrambi i casi è l'approccio ai dati a fare la differenza quando si parla di economia. Così, mentre viene confermata l'indicazione fornita due giorni fa dall'assessore regionale Silvio Paolucci, e cioè che nel secondo trimestre 2017 in Abruzzo si sono registrati 21mila nuovi posti di lavoro, l'economista Pino Mauro invita a leggere i dati Istat sull'occupazione in un quadro omogeneo e non parziale: «E' vero, ed è una buona notizia, che l'occupazione è cresciuta nell'ultimo trimestre a causa di tanti fattori, come il buon andamento del comparto turistico nella stagione estiva. Ma il dato complessivo, nel rapporto tra il primo semestre 2016 e il primo semestre 2017, dice altro e cioè che in un anno si sono persi 14mila posti di lavoro (-2,80% in termini percentuali) con gli occupati passati dai 489mila del 2016 ai 475mila di quest'anno». Dunque, più in generale, mentre in Italia tutti gli indicatori economici marciano con il segno più, l'Abruzzo è ancora in affanno.
SINTESI
Mauro si sofferma poi su un altro dato che a suo dire sintetizza meglio la situazione: «Dopo la straordinaria impennata del Pil registrata nel 2015 (+2,5 ), nel 2016 il prodotto interno lordo è crollato a -0,1, con riflessi negativi anche sull'occupazione». Tra l'altro in una regione che continua a viaggiare a due velocità secondo l'economista: «La grande industria fa da traino, il terziario e l'artigianato soffrono. A questo si sono aggiunte alcune variabili non proprio secondarie, come i terremoti e l'eccezionale ondata di maltempo dello scorso inverno che hanno messo in ginocchio comparti vitali, dall'agricoltura alle piccole imprese». Un'analisi condivisa dalla Uil Abruzzo, che in una nota del segretario generale Michele Lombardo invita la Regione ad «accelerare fortemente la cantierizzazione e la messa in opera del Masterplan, per contribuire a rimettere in moto il sistema». Poi ci sono le esigenze della politica, con il coordinatore della maggioranza regionale, Camillo D'Alessandro più interessato a spostare le lancette alla situazione pregressa del 2014, quando gli occupati in Abruzzo erano 459mila a fronte dei 485mila (+26mila secondo i dati forniti dalla Regione) del 30 giugno 2017. Il tasso di disoccupazione giovanile passato dal 48,1% del 2015 al 38,8% del 2016 (-9,3%), la produzione industriale aumentata del 5% nel 2016 e l'Export cresciuto del 9,7% nello stesso anno rispetto a quello precedente. Così come i prestiti bancari alle famiglie aumentati del 2,1% e i mutui per l'acquisto di nuove abitazioni, cresciuti dell'1,1%. «Questo - osserva D'Alessandro - dice che le politiche regionali hanno funzionato. Ma il dato più significativo è che è cresciuta la fiducia degli investitori. La fotografia è questa e spiega chiaramente da dove si è partiti e dove si è arrivati, al di là dell'atteggiamento disperato della politica oppositoria».
Altri quindici mesi per sapere se si tratta di una vera ripresa
Stefano Cianciotta*
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Saranno la restante parte del 2017 e il 2018 a dirci se la ripresina abruzzese sarà congiunturale o strutturale. Se, in parole semplici, si tratta di un fuoco di paglia o se invece la tendenza qualifica una crescita più consistente, che al momento non c'è e non si vede.
Dopo un inizio di anno drammatico (l'Abruzzo al 31 marzo 2017 aveva registrato secondo l'Istat 464.000 occupati, il dato più basso dagli inizi del 2000, con una perdita rispetto al 2016 di 17.000 posti di lavoro), il II Trimestre 2017 fa segnare un primo segnale di riequilibrio, con 485.000 occupati.
Quei 21.000 posti di lavoro in più, infatti, non qualificano ancora una ripresa economica, perché vanno appunto nella direzione di riequilibrare una diminuzione che agli inizi 2017 si era fatta preoccupante, perché aveva fatto registrare la punta più bassa negli ultimi quindici anni.
Ad analizzare la serie storica Istat dal 2008 ad oggi (allora l'Abruzzo contava 511.000 occupati) nel decennio più difficile dal dopoguerra ad oggi la regione ha perso 36.000 posti di lavoro (con una punta di 57.000 raggiunta appunto nel I trimestre 2017), pari al 7%, un dato che la colloca tra le regioni che hanno pagato il tributo più alto alla crisi economica scatenata dai mutui subprime (la media italiana ha oscillato tra il 6 e il 7%).
Sono stati soprattutto gli anni dal 2013 in poi a far registrare il periodo più difficile sotto il profilo occupazionale, perché si è passati dai 500.000 occupati del 2012 ai 486.000 dell'anno successivo, fino ai 476.000 del 2014. Nel 2015 e nel 2016 si è assistiti ad una flebile ripresa, perché gli occupati sono diventati dapprima 479.000 e poi 485.000. Negli ultimi cinque anni, due a guida del centro-destra con Chiodi e tre a guida centrosinistra con D'Alfonso, in Abruzzo non sono stati creati posti di lavoro, ma si è oscillati sempre tra intervalli regolari, quasi fisiologici tra posti creati e cessati. Un equilibrio che è servito in buona sostanza a galleggiare, per evitare di cadere in una spirale negativa dalla quale (si veda il dato particolarmente negativo del I trimestre 2017) sarebbe stato complicato riemergere, soprattutto perché nel frattempo si è sfaldata la consistenza delle Pmi e del sistema artigianale.
E se nel biennio 2011-2012 la regione aveva tenuto botta alla crisi, con una punta di 500.000 occupati nel 2012, dall'anno successivo in poi l'Abruzzo non è riuscito più ad invertire la tendenza.
Il flebile aumento fatto registrare adesso nel II trimestre 2017, quindi, non può essere letto né in modo entusiastico, né con toni di fallimento.
E' un dato che in sé dice poco, perché non solo si tratta come del resto d'Italia di occupazione instabile e in prevalenza a tempo determinato, ma soprattutto perché non indica ancora una tendenza. Solo la restante parte di questo anno, e soprattutto il 2018, ci diranno se l'Abruzzo è tornato a camminare o se procederà ancora a passi lenti. Difficilmente, però, tornerà a correre come nel 2008. Almeno nel breve-medio periodo.
*Think Tank Competere