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Data: 22/09/2017
Testata giornalistica: Il Centro
La regione aspetta un new deal di Primo Di Nicola

«Sono convinto che, se c'è qualcosa da temere, è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata...Chiederò al Congresso l'unico strumento per affrontare la crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per dichiarare guerra all'emergenza. Un potere grande come quello che mi verrebbe dato se venissimo invasi da un esercito straniero».Con queste parole, eletto presidente degli Stati Uniti d'America, nel discorso inaugurale del 4 marzo 1933, Franklin Delano Roosvelt si rivolse ai suoi concittadini.
Aveva di fronte un paese in ginocchio, allo stremo, piegato dalla crisi tremenda provocata dalla Grande depressione che, nel giro di pochi anni, con i suoi milioni di disoccupati, aveva gettato nella disperazione la prima potenza del mondo. E voleva risollevarne le sorti, il nuovo presidente. Come fece, mettendo in campo una nuova politica, una ricetta economica innovativa passata alla storia come New Deal (Nuovo corso, più o meno) che con grandi sforzi economici e tra tante difficoltà riuscì in effetti a risollevare gli Usa avviandoli su un percorso economico virtuoso che nel giro di un decennio non gli consentì solo di imboccare di nuovo la via del benessere, ma anche di dare un contributo decisivo alle sorti della Seconda guerra mondiale e alla sconfitta del nazifascismo.La ricetta roosveltiana, semplificando al massimo, è oggi ricordata come una politica forzata dell'economia spinta massicciamente dagli investimenti pubblici. Investimenti che il presidente americano fece piovere copiosamente su tutti i comparti, dal sistema creditizio all'agricoltura, per non parlare delle opere pubbliche, dove milioni di disoccupati vennero impiegati per costruire ponti e autostrade, curare le risorse naturali, sviluppare e mettere al passo le grandi infrastrutture.Tutto ciò viene in mente passando in rassegna gli enormi problemi economico-occupazionali che l'Italia e l'Abruzzo da troppi anni si trovano ad affrontare. Con qualche pesante differenza che si comincia ad evidenziare. Mentre il resto del Paese inizia ad intravedere qualche spiraglio in termini di ripresa del prodotto interno lordo (pil) e dell'occupazione, nella nostra regione il rilancio tarda a manifestarsi penalizzando in maniera evidente redditi e tenore di vita dei cittadini.Le ultime brutte notizie sono arrivate lo scorso 13 settembre quando l'Istat, l'istituto nazionale di statistica, ha diramato i suoi dati sul secondo trimestre 2017 nel quale l'Abruzzo ha messo a segno un'altra brutta performance con un calo degli occupati di 11 mila unità. Il resto delle brutte notizie e delle piccole e grandi differenze sull'andamento dell'economia della nostra regione rispetto a quella nazionale, insieme a tutte le criticità, i lettori potranno trovarle negli articoli alle pagine 2 e 3. Dati dai quali emerge chiaramente l'emergenza nella quale l'Abruzzo si trova. Per far crescere occupazione, fatturati e redditi nella regione, in una parola, per ridare fiato e slancio all'economia, di fronte alle asperità che anche l'imprenditoria privata si trova a fronteggiare, non c'è dubbio che un ruolo decisivo potrebbero averlo proprio gli investimenti pubblici. E tutti sappiamo quanto ce ne sarebbe bisogno visti e certificati i ritardi e le insufficienze che registriamo in troppi settori. Lo abbiamo detto e ripetuto in questi mesi. E non solo noi. Tanti esperti e politici hanno sottolineato l'urgenza e la necessità di mettere mano ai dissesti idrogeologici del territorio, alle perdite degli acquedotti, alle strade malandate e alle autostrade a rischio. Per non parlare dei lavori da fare sulle linee elettriche, sulla rete Internet, sugli edifici scolastici e sul resto del patrimonio edilizio, pubblico e privato, da mettere in sicurezza e a norma di fronte alle minacce dell'alto rischio sismico che ci caratterizza. Tanti lavori ed interventi da fare, dunque. Che abbisognano di risorse economiche rilevanti. Molte delle quali, a dire il vero, già disponibili se non fossero imbrigliate nella rete della burocrazia che soffoca l'Italia e l'Abruzzo. Ma la gran parte comunque da reperire attingendo alle casse dello Stato e a quelle dell'Europa.Impresa non facile. Perché convincere il governo ad aprire i cordoni della borsa, in tempi magri come quelli che stiamo vivendo, non è cosa da poco. E la politica regionale divisa, così come i particolarismi territoriali e i relativi campanilismi, insieme agli egoismi di categoria dei vari soggetti sociali, dall'imprenditoria ai sindacati, certo non aiutano. Per raccogliere e riversare risorse sull'Abruzzo ci vogliono progetti sostenibili e condivisi. E' necessario unire gli intenti e bussare con decisione alle porte governative romane. Archiviati i disastri estivi provocati dalla siccità e dagli incendi (altre emergenze da affrontare e finanziare), con alle porte i rischi connessi alla cattiva stagione che lo scorso inverno ha mandato in tilt l'intera regione e il suo sistema di servizi, è tempo dunque di unire gli sforzi. E questo è l'appello che il Centro lancia a tutti i soggetti titolati e interessati, politica, imprenditoria, forze sindacali, università ed enti di ricerca, per avviare una riflessione seria sullo stato effettivo della nostra regione. Lo facciamo aprendo le pagine a chi vorrà dare un contributo. E continueremo nelle prossime settimane a farlo con un forum nella nostra redazione. Nella speranza che redditi e posti di lavoro possano tornare a crescere in Abruzzo, ridando fiato all'economia e speranza ai cittadini.

Primo Di Nicola

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