BERLINO La Repubblica Federale come l'abbiamo conosciuta negli ultimi trent'anni da ieri non esiste più. Almeno sotto il profilo politico. Il partito xenofobo Alternative fuer Deutschland irrompe in Parlamento con circa il 13% e una novantina di seggi. E la slavina che mette in moto frana sui due pilastri della Bundesrepublik dai tempi di Adenauer: la Cdu-Csu di Angela Merkel cala di circa 8 punti e mezzo e scende al 32,9 per cento, mentre i socialdemocratici (Spd) soffrono il peggior risultato della loro storia: 20,5 per cento, contro il già modesto 25,7 per cento di quattro anni fa. Insieme, totalizzano poco più del 53 per cento dell'elettorato. Quasi un tedesco su due ha voltato loro le spalle.
LA TENSIONE
Il primo assaggio di un clima surriscaldato si è avuto poche ore dopo il voto. Centinaia di dimostranti hanno assediato ieri sera l'edificio dove gli xenofobi festeggiavano il successo, ad Alexanderplatz. Sono volate pietre, la polizia è arrivata in forze per contenere la situazione.
Quella che è stata definita la campagna elettorale più noiosa della storia si traduce in una novità assoluta (e non è una bella novità): la Germania fa un rischioso passo avanti verso l'ingovernabilità. Perché delle due sole coalizioni possibili nel prossimo Bundestag, una cade pochi minuti dopo la chiusura delle urne: «Gli elettori hanno bocciato la Grande Coalizione uscente; noi socialdemocratici andiamo decisi all'opposizione, nella Spd non c'è nessuno che voglia di nuovo le larghe intese», annuncia secco il capogruppo parlamentare socialdemocratico, Thomas Oppermann. Resta un'unica combinazione in grado di raggiungere i 348 seggi necessari per governare: la coalizione Giamaica, tra Cdu, verdi e liberali, tornati trionfalmente in Parlamento con oltre il 10 per cento. Il prossimo Bundestag, a causa di una legge elettorale bizantina, avrà quasi 700 deputati.
GLI SGUARDI
Basta guardare il volto e gli occhi di Angela Merkel, inutilmente festeggiata da una claque di giovani militanti organizzata dal partito. Sale sul podio del quartier generale della Cdu, un palazzo-transatlantico in vetro, cemento e acciaio che troneggia quasi al centro di Berlino, ferita ma composta, sotto gli occhi di migliaia di giornalisti. «Ci aspettavamo un altro risultato - dice - ma restiamo la prima forza politica, perciò abbiamo un chiaro mandato per formare l'esecutivo. Contro di noi non può nascere alcun governo». Un primo assaggio di ciò che farà una eventuale Angela IV (governa ininterrottamente dal 2005, con varie formule) arriva subito: «Analizzeremo il successo di AfD con attenzione e riconquisteremo i loro elettori con la buona politica. Bisogna fare di più contro l'immigrazione illegale e contro il crimine».
Già. E' la stessa cancelliera che nel 2015 ha detto: abbiamo la forza di accogliere tutti i profughi. E proprio questo tema, cavalcato dagli xenofobi, per i sondaggi è stato il più sentito in campagna elettorale. Grazie ad esso, la AfD ha scippato oltre un milione di elettori alla Cdu, 470 mila alla Spd e 400 mila all'estrema sinistra. All'Est sarebbe addirittura la seconda forza.
L'ATMOSFERA
Era sconcertante l'atmosfera di Berlino, ieri sera. Si può riassumere così: tutti in fuga dal governo di Angela. Martin Schulz, candidato dai socialdemocratici in fretta e con azzardo, incassa la sconfitta annunciata e proclama, alla tavola rotonda tv con la Merkel e gli altri leader, la Elefantenrunde: «La Spd ha sempre dimostrato responsabilità. Saremo fedeli alla coalizione uscente finché è in carica, poi andremo all'opposizione. Lei, cancelliera, ha condottto una campagna vergognosa, rifuggendo dalla politica». Il giovane leader dei liberali, Christian Lindner, uno dei vincitori del giorno, gli rinfaccia: «Schulz parla di responsabilità, poi si rifugia all'opposizione e dice che un governo-Giamaica sarebbe zoppo. Helmut Schmidt si sarebbe vergognato. Quanto a noi liberali, siamo responsabili ma non siamo condannati a governare. Se sui contenuti non ci sarà una svolta, non lasceremo all'Spd il diritto di stabilire chi sta all'opposizione».
Da più parti e anche dalla stessa Merkel arrivano appelli ai socialdemocratici affinché cambino idea. Ma è improbabile. La Spd, incatenatasi in anni recenti in due grandi coalizioni, (dal 2005 al 2009 e dal 2013 a oggi), da 12 anni non riesce a trovare un altro Schroeder che la riporti alla cancelleria. Se cedesse alla Merkel tornando al governo, lascerebbe agli xenofobi il ruolo di prima forza dell'opposizione. Quella che ha diritto di parlare in Aula subito dopo il governo. Schulz, pur battuto, vuole restare a capo del partito.
La cancelliera, abituata a consumare alleati e avversari cooptandoli al governo e appropriandosi dei loro temi, vede il suo metodo franare. Perché questo Bundestag, per la prima volta da quasi 60 anni, vede ben sette partiti. Oltre ai socialdemocratici, ai liberali, ai Verdi (9 per cento, in lieve crescita), all'estrema sinistra (Linke, 9%), alla AfD antieuro e xenofoba, c'è, accanto alla Cdu di Merkel, anche l'Unione cristiano sociale bavarese (Csu), il partito regionale che fu di Franz-Josef Strauss.
LA BAVIERA
La Csu presenta candidati soltanto in Baviera (dove ieri ha subito un colpo, dal 48 al 38,5 per cento). La Cdu invece si presenta su tutto il resto del territorio federale, tranne che in Baviera. Un patto di desistenza, che funziona da più di mezzo secolo. Da tempo però la Csu rende la vita difficile a Merkel, accusata di aver svenduto i valori conservatori sull'immigrazione e sul matrimonio gay.
La cancelliera versione Giamaica, dunque, dovrebbe mettere d'accordo gli ultraconservatori Csu, gli ecologisti, che su immigrazione e diritti civili la pensano all'opposto, e i liberali, che con Lindner ieri hanno messo in chiaro: «Vogliamo una legge sull'immigrazione sul modello canadese e niente regali finanziari all'Europa, o non entriamo al governo».
L'IMBATTIBILITÀ
Senza contare che Angela Merkel vede dissolversi la sua aura di imbattibilità e dovrà fare i conti anche con la sua Cdu. Ieri sul palco di questa scomoda vittoria che somiglia a una sconfitta, vicino a lei c'era tutto lo staff Cdu, ministri compresi. Non si è visto Wolfgang Schaeuble, potente ministro delle Finanze. Il politico che i tedeschi ammirano più della cancelliera.
La crisi della sinistra mea culpa di Schulz: «Mai più con Angela»
BERLINO Disastro, debacle, disfatta, implosione: il vocabolario per raccontare la sconfitta della Spd alle legislative in Germania sembra preso dal generale prussiano teorico della guerra, Carl von Clausewitz. Il partito socialdemocratico, al governo finora con la Cdu-Csu di Angela Merkel, ha in effetti subito la sua peggiore umiliazione battendo il suo stesso record negativo: ha ottenuto appena il 21% dei voti contro il 23% nel 2009 con Frank-Walter Steinmeier in quello che risultò allora il peggior risultato nella storia del più antico partito tedesco. Nel 2013 aveva ottenuto il 25,7%. Una sconfitta rovente quella di ieri poco o niente lenita dal fatto che anche la Cdu-Csu è stata penalizzata: scivola al 33% (contro il 41,5% nel 2013) e risulta il partito che ha perso più voti di tutti (circa l'8%). La sconfitta netta non ha lasciato scelta ai dirigenti del partito: è stato lo stesso sfidante cancelliere Martin Schulz ad annunciare la strada dell'opposizione. Nel suo ufficio al quarto piano del Willy Brandt Haus, la sede del partito a Berlino, aspettava i dati dopo la chiusura dei seggi alle 18.00 e pochi minuti dopo è sceso per parlare ai tanti militanti radunati. «È un giorno duro, amaro per la socialdemocrazia», dopo le regionali una sconfitta anche alle legislative, gli elettori hanno bocciato la grande coalizione, per questo la Spd imboccherà la strada dell'opposizione, ha annunciato. «È chiarissimo che il mandato degli elettori è che andiamo all'opposizione». L'ingresso dell'Afd è inquietante, la «Spd sarà un baluardo della democrazia» e «combatterà nella prossima legislatura per i suoi principi di rispetto e tolleranza».
Il pessimo risultato ha vanificato tutte le ipotesi della vigilia: non si escludeva una riedizione della grande coalizione se la Spd avesse strappato un risultato superiore, o almeno uguale, alle ultime elezioni. In questo caso avrebbe potuto dire alla base recalcitrante che questa era la volontà degli elettori: una riedizione della grande coalizione. Così evidentemente non è stato per cui al partito non resta che la strada dell'opposizione. Opzione questa che offre però un doppio vantaggio: da una parte un periodo di astinenza dal governo - che per la Spd, alleato junior, ha comportato una progressiva erosione di voti servirà al partito a rimettersi in piedi per presentarsi galvanizzata alle prossime elezioni. Dall'altra sarà ora la Spd a guidare l'opposizione al Bundestag e non l'Afd come temuto da tutti. In termini di voti l'Afd è diventata infatti il terzo partito in Parlamento e quindi, se la Spd per ipotesi entrasse al governo, spetterebbe a lei guidare l'opposizione. Per esclusione, il prossimo governo federale non potrà quindi essere altro a questo punto che una coalizione a tre nero-giallo-verde fra Cdu-Csu, Liberali (Fdp) e Verdi, detta anche Giamaica dai colori della bandiera dell'isola caribica.
Come il partito di Willy Brandt può essersi ridotto così, al punto che le viene contestato il predicato di partito popolare? Il tracollo ha molte concause. La crescente disaffezione degli elettori che non si sentono più vincolati a un solo partito e scelgono in un ventaglio à-la-carte, la mobilità e accelerazione del comportamento elettorale innescata dai social media, la paura crescente su svariati fronti: il lavoro, la povertà, la discesa sociale e naturalmente l'immigrazione. Per un esperto intervistato dalla Zdf le elezioni sono state «un referendum a posteriori sui migranti».
LE ORIGINI DEL DECLINO
Schulz ha addossato la responsabilità dell'Afd alla Merkel. «Ha fatto una campagna scandalosa», ha detto anche lui in tv. Per la Spd il declino è cominciato da tempo: con la nascita dei Verdi negli anni 80, che le hanno sottratto voti. Poi dopo l'Unificazione con l'arrivo degli eredi dei comunisti della Ddr - Sed, Pds, Linke aiutato dal contributo dell'ex leader Spd passato alla Linke, Oskar Lafontaine. Altro colpo drammatico è stata l'Agenda 2010 di Gerhard Schröder, la riforma del lavoro che ha rimesso in piedi la Germania, facendo raccogliere però i frutti alla Merkel (da cinque milioni nel 2005 i disoccupati sono oggi la metà), ma dilaniato il partito e costato peraltro la cancelleria a Schröder. Otto anni al governo sotto la Merkel (2009-2013 e 2013-2017) hanno inferto poi il colpo di grazia a un partito che in realtà ha lavorato bene ma il merito se l'è preso sempre la cancelliera.