RIMINI «Sarà bellissimo, niente più denunce: non sarò più capo politico ma ci sarà continuità». Cammina serafico tra gli stand della festa di Rimini Beppe Grillo e pure dal palco saluta tutti con la mano e si scuce le stellette dell'uniforme di generale dell'esercito M5S. Solo qualche minuto prima sul palco c'era il candidato premier Luigi Di Maio che fresco di interviste con diverse testate estere (se necessario «faremo investimenti in deficit, il tetto del 3% non è un dogma, il Pd sta facendo una legge elettorale contro di noi») ha fatto subito una dichiarazione da consumato segretario di partito: «La Sicilia non sarà un test nazionale». E non è stato facile per lui pronunciare quelle parole dopo aver trascorso un'estate intera nell'isola a dire che da lì si sarebbe arrivati dritti a Palazzo Chigi. Le regionali del 5 novembre sono in realtà un test per lui, secondo gli ortodossi che si riconoscono ancora in Roberto Fico, il grande deluso di Rimini.
LE POSIZIONI
«Le cose, Luigi, vediamole insieme, tutti insieme. Ci mettiamo, ci chiami e le vediamo insieme». Disegna un lungo semicerchio con le mani Roberto Fico mentre l'altro giorno guardava dritto in faccia Luigi Di Maio. Per il presidente della Vigilanza Rai il metodo assembleare è ancora importante. E ieri ha di nuovo tracciato la sua trincea: «Il candidato premier è capo della forza politica» perché lo impone «la legge elettorale Italicum, e non capo della vita politica generale a tutti i livelli del M5S. Questa è una grande distinzione». Questo è il confine che anche altri parlamentari hanno accettato. «Il candidato premier dovrebbe essere uno che media tra le parti per fare sintesi, non deve dettare la linea politica» ha detto anche la senatrice Elena Fattori che ha sfidato Di Maio alle primarie e ora, a sorpresa, si candida a fargli il contrappunto in stile Fico. «In sette contro Di Maio hanno tirato su un 15 per cento, vi immaginate quanto avrebbe totalizzato Fico?» dice un portavoce che conosce bene le dinamiche interne. Davide Casaleggio sente odore di benzina e dal palco protegge il vicepresidente della Cammera: «Lo dovremo aiutare tutti insieme. Dobbiamo essere una grande squadra di volontari ignoti».
Ieri, Luigi Gallo, che ha condotto una battaglia pervicace sulla questione del capo politico, ha detto: «Noi siamo quelli sotto il palco». Chiaro riferimento alle orde di colleghi che in questi giorni hanno sgomitato per avere un posto dentro la teca scintillante della festa, accanto a Di Maio. Foto emblematica che pubblica: lui e Roberto Fico in camicia e informale, dentro un gazebo in mezzo agli attivisti. «Noi siamo fuori dalla tv e dai talk show scrive denunciando la politica dello staff comunicazione che distribuisce patenti di visibilità solo a chi non contesta - siamo la maggioranza silenziosa che può cambiare questo Paese. Quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto per amore. Il confronto ci farà solo crescere, il pensiero unico ci porterà all'estinzione».
LA PERFORMANCE
Dal blog intanto si contano le performance della festa organizzata da David Borrelli e Max Bugani: «Oltre 50.000 persone e più di 3.500.000 persone raggiunte nei tre giorni solo su Facebook!». Cifre che stonano terribilmente con la scarsa affluenza elettronica che ha contraddistinto il voto online per la premiership (37 mila prefrenze) e che non è stato immune dagli hacker. «Abbiamo dovuto iniziare a proteggere sempre di più il nostro spazio di democrazia e partecipazione ha ammesso ieri dal palco Davide Casaleggio confermando l'assenza di barriere di sicurezza efficaci prima. «Mi è spiaciuto vedere persone con problemi di accesso l'altro giorno, ma mi ha fatto pensare che se una persona rimane davanti allo schermo un'ora per votare vuol dire che è qualcosa di cui non può più fare a meno». Ma la vera domanda è: perché Rousseau non riesce a mobilitare tutti i suoi 150 mila iscritti? «Non lo so, me lo chiedo anche io e cercherò di capire e studiare questo fenomeno» dice Enrica Sabatin, consigliera comunale di Pescara e astro nascente della segreteria Rousseau.