ROMA Non è un caso se uno dei primi quattro Lighthouse Plant avviati in Italia, le «fabbriche faro» frutto della spinta alla digitalizzazione del piano Industria 4.0, sia targato Hitachi Rail Italy. La società, ex AnsaldoBreda, acquistata due anni fa dai giapponesi di Hitachi (insieme ad Ansaldo Sts) rappresenta da sempre un punto di eccellenza dell'innovazione made in Italy. Già prima del passaggio da Finmeccanica-Leonardo a Hitachi aveva imboccato una certa risalita dopo anni difficili (soprattutto il biennio 2012-2013). Ma in tanti temevano, nonostante le garanzie forti, che sarebbe cambiato molto, troppo, con l'arrivo dei giapponesi nella holding quotata a monte. Invece non è andata così. Oggi Hitachi Rail Italy è capace di consegnare anche 400 carrozze all'anno. Ha sempre un piede ben saldo nello stabilimento di Pistoia, oltre che a Napoli e a Reggio Calabria. E il numero dei dipendenti è anche cresciuto. Ma ora più di prima ha uno sguardo puntato sul mondo intero.
LA SPINTA
Com'è cambiata Hitachi Rail Italy a due anni dal passaggio di controllo? «Si immagina spesso che sia stato solo il contributo dei giapponesi a far crescere Hitachi Rail Italy - spiega al Messaggero Maurizio Manfellotto, presidente e ceo della società - in realtà è da anni che un team di persone e di manager lavorano alla rifondazione dell'azienda ed è proprio questo che ha reso interessante l'investimento per Hitachi». Del resto, «siamo noi ad aver realizzato il treno ETR 1000, ovvero il Frecciarossa1000», fa notare Giuseppe Marino, vicepresidente e chief operating officer della società. Certo, non c'è dubbio che il matrimonio con i giapponesi «abbia portato in dote un riposizionamento globale. Siamo infatti diventati nuovamente competitivi. Anche il sostegno in termini di investimenti è innegabile», secondo Marino. D'altro canto «la crescita sul mercato europeo, con tanto di aumento della capacità produttiva», è stata una conquista importante anche per Hitachi. A ricordarlo è lo stesso Manfellotto: «I mercati di riferimento sono complementari, il team non è cambiato in nessun modo. Il vantaggio è reciproco, e si vede dai numeri».
IL PORTAFOGLIO ORDINI
Oggi la fotografia del gruppo dice che la società italiana conta per il 40% sull'intero gruppo se si guarda al rolling stock, cioè al materiale rotabile. «Inoltre abbiamo la responsabilità di seguire l'Europa, gli Stati Uniti e i Paesi al di fuori del Giappone, compreso il Sud America per esempio, e stiamo crescendo ancora». La commessa strappata a luglio per la metro di Baltimora è solo l'ultima bandierina, la terza negli Stati Uniti dopo Honolulu e Miami, in una mappa ben più articolata di metro che tocca anche Copenaghen, Milano, Salonicco e Taipei. Poi ci sono le commesse per la produzione del treno per il Regno Unito (tra Londra e la Cornovaglia) e il nuovo treno regionale Rock di Trenitalia. «Sulle metropolitane driverless, cioè senza conducente, siamo leader», puntualizza a sua volta Marino.
I PIANI
Ma di consegnare treni al Sol Levante per ora non se ne parla. «Quello giapponese è un mercato molto particolare. Non è un caso se il famoso Shinkansen non si trova altrove nel mondo. E per lo stesso motivo Hitachi ha investito in Italia per espandersi in Europa». Gli investimenti in ricerca e sviluppo? «Sono importanti e tutti dedicati a nuove piattaforme-prodotto e industriali. Si tratta di puntare sulla crescita competitiva», dice Marino. Questo, però, non ha avuto effetti negativi sul personale. Anzi. «A fronte di nuove linee prodotto, dal 2012 abbiamo sempre incrementato il numero di risorse e accresciuto le competenze con una progressiva riduzione dei lavori più gravosi». Insomma in questo caso il tema digitalizzazione e dintorni non ha creato vertenze con il sindacato. «E' un processo che va avanti da anni, con nuovi record di ore di produzione».