Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/07/2024
Visitatore n. 738.562



Data: 29/09/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Raggi a rischio processo fiducia a tempo da M5S: «Resistiamo fino al voto». La richiesta dei pm «Sindaco a processo ha mentito su Marra»

Sa che il passaggio è delicato e questa volta, appena appresa la notizia dagli avvocati, Virginia Raggi chiama subito Beppe Grillo poi Paolo Ferrara, il capogruppo. Occorre blindarsi pubblicamente, va bene, ma la sindaca sa che ora serve una maggioranza coesa. I malumori non mancano nelle chat, lei lo sa benissimo. Tiene a mente i nomi e i cognomi dei critici. Ai quali manda questo messaggio attraverso i suoi ambasciatori: io vado avanti, e sono serena, chi non vuole può fare un passo indietro. Così, usando il pretesto della riunione di giunta, convoca i suoi assessori - è il giorno del compleanno di Laura Baldassarre e Margherita Gatta - informandoli della situazione e pretendendo da ognuno di loro una risposta chiara alla domanda di tutte le domande: «Chi è con me?». Gli assessori si guardano: alla fine prevale la linea della compattezza. Il supporto c'è. Ma fino a quando non si sa: «Resistiamo fino al voto», fa sapere un pentastellato. La fiducia, quindi, diventa a tempo. Ma Raggi, per il momento, tira un sospiro di sollievo. I suoi più stretti collaboratori ancora la difendono. Dice il vicesindaco Luca Bergamo: «Sono garantista da sempre, questo capo d'imputazione è risibile: rientra nella casistica delle situazioni a cui può andare incontro un politico». E nella politica italiana è prassi consolidata. Sicché si conferma la «fiducia nel lavoro della magistratura e nella sindaca conclude Bergamo siamo certi che ne uscirà pulita».
Più cauto lessicalmente parlando Adriano Meloni, assessore al Commercio, raggiunto in mattinata da una telefonata di Renato Marra a cui non ha risposto. «Mi auguro (l'espressione ne sono certo non la pronuncia) che la Raggi sia innocente». Lancia in resta, la linea della difesa approda di riflesso nella maggioranza in aula Giulio Cesare dove gli animi sono tuttavia più esagitati. Nel Pd, la capogruppo, Michela Di Biase, è perentoria: «La Raggi dovrebbe dimettersi per manifesta incapacità». Da Forza Italia, Davide Bordoni punta il dito contro il post scritto dal sindaco su Facebook «La Procura chiede il rinvio a giudizio per il reato di falso ma la Raggi bypassa la notizia e si concentra solo sull'archiviazione del reato di abuso d'ufficio». C'è da dire che quel post è andato di traverso anche a diversi esponenti cinquestelle vicini alla deputata Roberta Lombardi. «L'hanno scritto prima, convinti che fosse sollevata da tutte le accuse dicevano alcuni poi l'hanno corretto, fa ridere; tanto è chiaro: la devono tenere in piedi fino alle elezioni politiche». Pensiero, questo, condiviso anche da alcuni consiglieri capitolini ma espresso in gran riserbo. Pirandello avrebbe di che rallegrarsi a guardare le parti inscenate dai consiglieri grillini: unità e compattezza sul palcoscenico, astio e polemiche dietro le quinte. Ecco Daniele Frongia: «Tutto bene, no?».
«UNA SCOLARETTA»
Il presidente d'aula, Marcello De Vito, difende la sindaca in assemblea, riservando poi, in un angolo della buvette, grandi alzate di sopracciglio sulla gravità della richiesta di rinvio a giudizio per falso. E se il capogruppo Paolo Ferrara, punta il dito contro il Pd: «Ci sono 16 ex consiglieri del Lazio e il sindaco di Milano, Sala, rinviati a giudizio», come a dire: pensate a voi, diversi consiglieri grillini degli scranni bassi sbottano a denti stretti. La consigliera Cristina Grancio (sospesa e da poco riammessa) lancia la frecciata: «Si usano due pesi e due misure, io sono stata sospesa solo per aver detto qualcosa che non dovevo durante una commissione». Una sua collega paragona la Raggi «a una scolaretta, che pur applicandosi, da un 2 è arrivata a un 5 a forza di chiedere scusa per gli errori fatti. Certo, sempre meglio di quella che parte da 5 e si ferma a 5, però...». Cosa? «Non ci arriva, io lo dico dallo scorso dicembre che questa storia delle nomine avrebbe comportato guai, tanto Roma è fallita da anni...». La consigliera Monica Montella, invece, alla domanda su che fine abbia fatto la trasparenza, prima sospira, poi scappa via dalla buvette. Alla fine, sulle scale risponde con una fragorosa risata. Che il sapore del divertimento, però, non ce l'ha neanche per sbaglio.

Raggi, la richiesta dei pm «Sindaco a processo ha mentito su Marra»

ROMA Dice di essere «soddisfatta» e «fiduciosa», di aver agito «rispettando la legge», e relega nell'ultima frase di un lungo post su Facebook il vero nocciolo della vicenda: la procura di Roma ha tirato le somme dello scandalo nomine e ha notificato alla sindaca Virginia Raggi una richiesta di rinvio a giudizio. La prima cittadina, che sui social si vanta dicendo che «i pm hanno fatto cadere le accuse», rischia di finire sul banco degli imputati per falso ideologico in atto pubblico: avrebbe mentito alla responsabile Anticorruzione del Comune. Una contestazione di cui dovrà rispondere al fianco dell'ex fedelissimo Raffaele Marra, già a processo per corruzione e ora accusato di abuso d'ufficio. Il caso riguarda la promozione alla direzione Turismo del Campidoglio del fratello maggiore di Marra, Renato.
Cade invece l'accusa di abuso d'ufficio mossa alla sindaca in concorso con Salvatore Romeo, protagonista del polizza-gate che aveva imbarazzato la giunta M5S: l'aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall'Olio hanno chiesto l'archiviazione per la promozione sospetta del funzionario a capo della segreteria politica. Una decisione che fa esultare la Raggi, difesa dagli avvocati Alessandro Mancori e Emiliano Fasulo: «Apprendo con soddisfazione che, dopo mesi di fango mediatico su di me e su M5S, la Procura ha deciso di far cadere le accuse», scrive in un post. Solo in coda aggiunge: «Sarà fatta chiarezza sul falso».
LE ACCUSE
Marra avrebbe infranto il regolamento comunale che vieta ai funzionari di partecipare alle nomine di parenti, contribuendo alla promozione del fratello. La sindaca avrebbe poi mentito, dichiarando all'Anticorruzione di aver agito in autonomia. È una chat su Telegram, trovata nel cellulare di Marra, a smentire la Raggi. «Questa cosa dello stipendio me la dovevi dire, mi mette in difficoltà», avrebbe scritto la sindaca all'ex fedelissimo, dopo aver appreso dello scatto economico riservato a Renato. Inizialmente la prima cittadina era stata indagata per abuso d'ufficio anche in relazione alla nomina di Marra. Una tesi mutata nel corso dell'inchiesta. La Raggi, mentendo, potrebbe avere fatto una scelta politica: dimostrare di essere indipendente dall'ex vicecapo di gabinetto, che aveva un ruolo di primo piano, tanto da essere stato spesso definito «sindaco ombra».
Dopo la notizia della richiesta di rinvio a giudizio, le reazioni arrivano a stretto giro. Beppe Grillo è tra i primi a intervenire: si dice «soddisfatto che i reati più gravi siano in via di archiviazione», e «contento che Raggi sia riuscita a dimostrare la sua innocenza». Nel pomeriggio è il turno del candidato premier M5S Luigi Di Maio: «La Procura ha chiesto di archiviare le accuse per cui la stampa ci ha infangato per mesi». Seguono i messaggi dei consiglieri capitolini, «siamo felici perché è decaduta l'accusa infamante di abuso d'ufficio che hanno cavalcato in molti», dice il capogruppo Paolo Ferrara. Il leader del Pd, Matteo Renzi, non si sbilancia: «Non attacchiamo gli avversari per un semplice avviso di garanzia. Difendiamo Virginia Raggi da quel giustizialismo che lei e il suo partito hanno praticato fin dalle origini».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it