PESCARA Il mese è praticamente trascorso, e dei lavori per il taglio della diga foranea, annunciati per settembre, non si è avuta traccia. Dei circa 50 posti di lavoro persi in due anni, invece, la traccia c'è, ed è quella che porta alle famiglie dei dipendenti licenziati dalle ditte che lavoravano nell'indotto, alcune delle quali hanno perso la loro unica fonte di reddito. Svolgevano pratiche portuali, attività antincendio, servizi anti inquinamento, quando lo scalo marittimo era a regime. Dalle ultime dichiarazioni rilasciate da Enzo Del Vecchio, capo della segretaria di Luciano D'Alfonso, i lavori dovrebbero partire nell'arco di tre settimane, ma ora che il porto è chiuso ai traffici commerciali, a causa dell'insabbiamento dei fondali che non consente l'arrivo e la partenza delle navi di stazza maggiore, a "resistere" sono solo gli 11 dipendenti dell'impresa di Sabatino Di Properzio, a capo di una società che si occupa di servizi logistici per prodotti petroliferi. «La darsena commerciale», spiega Di Properzio, «ha un pescaggio minimo inferiore ai due metri, circostanza che la rende inaccessibile alle navi commerciali». Un problema serio per chi, come Di Properzio, è costretto a supplire con gli autotreni alla mancanza di uno scalo dove far approdare le navi col carburante. Ogni anno, sottolinea l'imprenditore, sono circa centomila gli autotreni che muovono da Falconara, a fronte di circa 400mila tonnellate di prodotto, tra benzina e gasolio, che arrivava via mare. Costi pazzeschi da sostenere, 50 volte maggiori rispetto ai precedenti, come lo stesso Di Properzio aveva stimato un paio di anni fa, e che si traducono anche in un aumento dei mezzi pesanti circolanti su strada, con tutto quello che ne deriva. E la situazione, dopo due anni, è sempre la stessa. «Certo che stiamo ricevendo un danno», afferma, «visto che non riusciamo, via terra, a ricevere tutto il quantitativo che ricevevamo via mare». Un danno difficile anche da quantificare, se si considerano, appunto, le attività dell'indotto costrette a chiudere i battenti. «La società che fa logistica attualmente conta 11 dipendenti», dice Di Properzio, «ma le attività antincendio, antinquinamento, di carico e scarico merci, le officine che facevano manutenzione sulle navi, e quelle che si occupavano di pratiche portuali e forniture sono ferme, con i lavoratori andati a casa da due anni. Ormai, peggio di così non può andare, perché quelle attività sono chiuse, comprese molte delle società esterne alle quali ci appoggiavamo noi e tutti coloro che transitavano nel porto».Alla domanda su che cosa chiederebbe alle istituzioni, Di Properzio risponde: «Niente, io non chiedo niente. Il problema si risolve soltanto dragando il porto. Credo che in questo momento le opere infrastrutturali in grado di ridurre la possibilità di insabbiamento sono il taglio della diga foranea e la costruzione delle barriera soffolta. Ma non è chiaro che tempi si prevedono. Le opere dovevano prendere il via alla metà di settembre e andare avanti per almeno un anno». Soltanto pochi giorni fa la Regione aveva annunciato come prossimo l'avvio delle opere per restituire a Pescara un porto efficiente.