ROMA Doveva essere il giorno dell'esplosione della forza dei bersaniani e dalemiani, più quelli di Pisapia. Invece? Ha vinto il governo Gentiloni, nei due voti al Senato su cui l'ala sinistra con un piede dentro e l'altro fuori dalla maggioranza aveva minacciato sfracelli. 181 voti sulla deroga ai saldi contabili (dove era necessaria la maggioranza assoluta di 161) e 164 sul Def. Così a Palazzo Madama. E alla Camera: 358 e 318 voti rispettivamente. Alla fine, l'ennesimo test sulla tenuta del governo si è rivelato meno ostico del previsto per Gentiloni. «Una prova di responsabilità notevole», è stato il commento del premier al voto più delicato, quello del Senato. Mentre è arrivato personalmente alla Camera, in serata, per seguire da vicino il verdetto dell'aula di Montecitorio. E Matteo Renzi esulta: «Il governo è solido».
LE SPERANZE
I numeri insomma hanno dato torto alla prova di forza dei dalemian-bersaniani - che sul Def volevano dare una lezione dura e misurare la propria pericolosità a Palazzo Chigi - già all'ora di pranzo si tiravano le somme con il pallottoliere in mano: anche senza Mdp, il governo supera quota 161. Così è stato, anche grazie ai 12 verdiniani che hanno votato per il governo. E il bersaniano Gotor attacca: «Il voto di oggi sul Def fotografa una situazione imbarazzante, andata avanti per tutta la legislatura: l'esistenza di una maggioranza fantasma che include Verdini e il suo gruppo parlamentare».
Ma il vero problema è esploso a sinistra. Pisapia, di solito pieno di aplomb, stavolta ha perso la pazienza: «D'Alema è divisivo faccia un passo di lato». Mentre in Mdp c'è chi nega la divisione con Pisapia (che è evidente) e chi invece ripete il sospetto che circola da tempo: «Ha già in tasca un accordo con Renzi». Cioè con il diavolo. Mentre quelli di Mdp escono dall'aula di Palazzo Madama per non partecipare al voto, gli altri - Stefano, Uras e gli ex 5 stelle passati in Campo Progressista: Bencini, Romani e Orellana - votano in entrambi gli scrutini a favore del governo. Il livello di scontro tra questi due spicchi della sinistra-sinistra è sintetizzato da un sms, che arriva a un certo punto della mattinata sul telefonino di Angelo Sanza, vecchia volpe democristiana ora insieme a Tabacci nel campo di Pisapia. Lo ha scritto un esponente vicinissimo all'ex sindaco di Milano e vi si legge: «Questi di Mdp nutrono per noi lo stesso sentimento che noi nutriamo per loro. Noi non vogliamo stare con loro e loro non ci vogliono». Passa intanto alla buvette il renziano Esposito e dice la sua: «Qui i dalemiani e bersaniani fingono di riempire di contenuti la loro lotta, criticando la legge di bilancio e dicendo di volerla migliorare, ma in realtà sono mossi solo dalla voglia di vendetta contro Renzi. Far perdere lui e far tornare Berlusconi. E' rinato Dalemoni!».
Intanto uno di Mdp, Ragosta, lascia Mdp: «Stiamo sbagliando tutto». Bubbico, appena dimessosi da sottosegretario, passa in Transatlantico e dice: «Mi sono dimesso per coerenza. Noi abbiamo adottato la strategia delle mani libere rispetto al governo». E Cecilia Guerra, capogruppo Mdp in Senato: «Se la legge di bilancio non ci piace, non la voteremo».
LOTTA CONTINUA
Dunque, i duri continuano a fare i duri anche se hanno appena incassato una sconfitta anche d'immagine. Mentre in questa maionese impazzita si registrano cose così. Speranza uno: «Gentiloni non deve mai avere paura di Mdp». Speranza due: «Non mi sento più dentro questa maggioranza». L'atmosfera questa è. Ma c'è anche chi non si scompone. Per esempio Zanda. Come è andata, presidente? «Bene, e Mdp ha votato le misure fondamentali della manovra». Un modo per dire che regna l'impotenza, oltre che la confusione, a sinistra del Pd.