ROMA Copione rispettato. Quando Anna Finocchiaro, voce ferma, sguardo ferreo, incurante di tutto e di tutti, come chi ne ha viste tante, pronuncia la fatidica frase il governo pone la fiducia sulla legge elett..., l'aula di Montecitorio si trasforma in una corrida catalana, ma senza matador. Urla, fischi, cori di vendute, vendute all'indirizzo della medesima Finocchiaro e della presidente Boldrini, lancio di libri di regolamento, si vedono anche i fiori, rose per la precisione, che Larussa da Paternò, piccola contea sicula dai tempi dei Normanni, raccoglie e va a donare urlando a Finocchiaro che è di Modica, grande feudo storico della Sicilia, «è un governo morto, solo fiori per loro», motteggia l'Ignazio nazionale, «bella scoperta, siamo a fine legislatura», gli dà sulla voce Raciti, giovane segretario del Pd isolano, di Acireale.
LE POSIZIONI
Il dissenso urlato larussiano, seguace della Meloni, stona con la compassata presenza degli altri del centrodestra, i leghisti e i forzisti, con il capogruppo Brunetta a braccetto in Transatlantico con il pari grado Rosato, il capogruppo dem. Con Silvio Berlusconi che da fuori dà disco verde che più verde non si può: «Comprendiamo i motivi della fiducia che ovviamente non possiamo votare, ma nel voto finale non faremo mancare il nostro sì convinto e leale». Si fa notare anche M5S, con Fico che perde la voce a furia di gridare, con Di Battista che perde l'orientamento e sbaglia assembramento fuori Montecitorio, e Di Maio che guarda compiaciuto la scena ma non partecipa, ormai è candidato premier e non se lo permette più. Perde la voce pure D'Attorre di Mdp, un po' la foga un po' l'emozione, lui solitamente pacato e riflessivo, mentre parla comincia a tossire, un groppo alla gola, altra tosse, finché Lele Fiano, suo ex compagno di partito, gli va a offrire una mentina tra i «buuuh buuuh» dei contestatori più incalliti e meno buonisti. Il bersaniandalemiano D'Attorre stava dicendo una cosa importante: «Questo sbrego istituzionale segna il definitivo passaggio di Mdp all'opposizione, non sosterremo più il governo».
IL COPIONE
Copione rispettato, ma chi ha esperienza di altri, passati scontri parlamentari sottolinea che, tutto sommato, ce ne sono stati di assai più duri, alla fin fine non ci sono stati né contatti fisici né scontri né assalti alla presidenza, né minacce. «Ci vedremo fuori da qui», hanno annunciato M5S e Mdp, gli unici oppositori assieme a Fratelli d'Italia: l'appuntamento è in piazza per oggi a protestare, piazze separate e argomenti un po' caduchi, tipo quello pentastellato secondo cui il Rosatellum è incostituzionale perché permette le coalizioni che il M5S non vuole. Pazienza. Contrari anche i deputati di Giuliano Pisapia (che dopo la rottura a sinistra non vogliono fare la stampella del Pd).
L'annuncio della fiducia arriva in mattinata, dopo una riunione dei capigruppo di maggioranza. «Il Pd ritiene opportuna la fiducia», scandisce Rosato. Si riunisce il Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni svolge una succinta relazione che convince tutti, breve discussione, e alla fine unanimità, tranne, pare, il ministro Orlando. I suoi, alla Camera, non hanno dubbi: «Non c'era altro da fare, non potevamo permetterci un altro buco nell'acqua, si deve dare una legge elettorale al Paese», spiega Andrea Martella. Un altro orlandiano come Beppe Lauricella dice a sua volta: «Vanno invertiti i fattori: con la fiducia si consente di varare una legge elettorale che garantisce quantomeno la tenuta del sistema, chi grida al golpe voleva mantenere in vita il confuso Consultellum che avrebbe provocato solo danni istituzionali».
Il Pd è arrivato compatto all'appuntamento, tanto che non c'è stato neanche bisogno di convocare l'assemblea del gruppo. Matteo Renzi si è mosso da tempo nella prospettiva che si dovesse arrivare alla fiducia: si è assicurato l'intesa con parte importante dell'opposizione, ha avuto l'ok unanime della direzione, e ultimo ma non meno importante, ha avuto il beneplacito del Colle, che ha fatto capire e sapere di considerare impercorribile andare a votare con il Consultellum.
Dibba sbaglia comizio e prende i fischi «Pronti ad accerchiare il Quirinale»
ROMA C'è un abisso tra il volto corrucciato di Luigi Di Maio e lo sguardo raggiante di Roberto Fico. Con una mossa, la fiducia sul Rosatellum bis, tramonta il sogno del governo. Tra i due colleghi campani passano veloci tutti questi quattro anni di lavoro matto e disperato: chi a fare l'opposizione dura «che siamo bravissimi a fare» rimarca il capo della Vigilanza Rai, chi a farsi governo come il vicepresidente della Camera. Ha vinto chi è convinto sia prioritaria la rivoluzione culturale piuttosto che il governo whatever it takes.
Ieri in piazza a Montecitorio in un attimo è sembrato tutto molto chiaro, anche per l'invettivista Di Battista: il M5S non è più il nuovo rampante e dirompente e lui è inciampato nelle sue stesse invettive. Quando ieri ha cercato di arringare la folla infatti si è trovato di fronte i manifestanti, arrabbiati, radunati dal generale Pappalardo, una sorta di suo alter ego più anziano ma altrettanto determinato (è presidente delMovimento per la liberazione d'Italia, compagine legata al finto ma verosimilissimo arresto di Osvaldo Napoli). C'erano no vax, free vax, forconi, autonomisti veneti e neoborbonici. Sui loro social il M5S è stato inserito nella ridda di partiti «abusivi perché eletti col Porcellum e dialoganti coi ladri» (Pappalardo copyright) da cacciare via subito. Ecco perché l'allure dell'invettivista ieri si è spenta di botto. Questa la scena: Di Battista esce, si toglie la giacca e prova a fare il descamisado fra i descamisados. Ma non attecchisce e viene riempito di fischi e insulti. «Anche tu sei un parlamentare abusivo là dentro, dimettiti», gli urlano mentre lui capisce e si sbriga. «Buffoni, ladri, ridateci le chiavi. Devi uscire pure tu, abusivo, non restare dentro» gesticolano i manifestanti.
A Dibba non resta che riconsegnare il megafono, stringersi il colletto della camicia e tornare al sicuro, dentro la Camera dove intanto torna lo spirito barricadero, giosamente ortodosso di una volta. L'opposizione è ancora troppo una vocazione congeniale al M5S. Soli, duri e puri. Oggi e domani si torna in piazza, ma stavolta una piazza tutta pentastellata. Il Movimento è galvanizzato: i parlamentari dicono di essere pronti a qualsiasi tipo di protesta. Anche davanti il Quirinale, «anche sui tetti se serve». Ma il timore di poter essere infiltrati da qualche violento li porta a mettere le mani avanti: la parola l'ordine è «non cedere alle provocazioni».
NUOVE ALLEANZE
Ora il Movimento ha cambiato cavallo, c'è Mdp, che oggi manifesta pure contro la legge elettorale, ma al Pantheon: «Sono gli unici ad aver votato a favore del nostro emendamento contro Berlusconi». Di Maio non abbandona il profilo istituzionale ha chiamato a Roma tutti gli eletti M5S: «Lasciate stare tutto quello che state facendo e venite in piazza», questo il messaggio. Non si esclude che giovedì per il voto finale possa partecipare alla protesta anche Beppe Grillo che sabato sarà a Marino per incoronare il candidato, o candidata presidente del Lazio.