Un primato da medioevo, da profondo sud, da sottocultura, da ignoranza, da spregio delle regole e della prevenzione. L’Abruzzo sì, ce l’ha un primato, ma di quelli da vergognarsi per tutta la vita: è in testa alla classifica delle morti sul lavoro. Morti bianche, non incidenti. Lo dice l’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering e i dati sono aggiornati al 31 agosto scorso. Dato sicuramente accentuato dalla tragedia di Rigopiano e dalle morti nell’elicottero del 118 a Campo Felice, ma comunque sempre drammatico.
In testa alla classifica, col 52,2 per cento di incidenza sugli occupati, 25 casi di morti bianche, 5,1 per cento sul totale degli occupati annuali che sono 478.67, subito dopo il Molise che con l’Abruzzo condivide molto, anche questa vergogna: col 58,8 per cento.
Ma non è solo questo discutibile record a fare impallidire, ma anche che tra l’Abruzzo e le altre regioni italiani ci sia un abisso: tra il 52,2 dell’Abruzzo e il Friuli, che è la terza peggiore regione, ci sono più di venti punti percentuali di differenza e rispetto all’indice medio nazionale la differenza è di trenta punti. Ma non è tutto, non è ancora abbastanza vergognoso: l’indice medio del Sud Italia (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) è del 32,2 per cento e purtroppo l’Abruzzo è ancora più a Sud.
Eppure, la Regione Abruzzo non ne parla. Parla di incentivi alle imprese, di aiuti, di sostegni, di velocizzazione delle pratiche, ma non mette condizioni, non stabilisce le regole, non adotta percorsi formativi per i datori di lavoro e l’insegnamento sulla sicurezza è totalmente assente in molti dei corsi promossi proprio dalla Regione. Assente, come se fosse un discorso che non la riguardasse.
E’ possibile che l’Abruzzo sia in queste condizioni di arretratezza, che i settori più colpiti siano l’agricoltura e le costruzioni, muratori che volano dai tetti, contadini che restano schiacciati dai trattori, o operai uccisi da oggetti pesanti, morti bianche stupide e banali che si potrebbero evitare soltanto se venissero attuati piani di tutela sui luoghi di lavoro.
Eppure, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha scritto pochi giorni fa al presidente dell’associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro Anmil, Franco Bettoni:
“Oggi si dispone di tecniche e conoscenze avanzate: non è tollerabile che esse non siano poste al servizio della persona, per prevenire ogni forma di lesione o malattia, nonché riabilitare coloro che degli infortuni sono stati vittime”. E ha aggiunto: “Troppo numerosi sono i casi di aziende che risultano non in linea con gli standard di sicurezza, ed è inconcepibile che tra le vittime di infortunio sul lavoro vi siano ragazzi giovanissimi. Il lavoro irregolare deve essere contrastato in tutti i modi: la legislazione è puntuale, sta a tutti gli interlocutori attuarla e rispettarla”.
Niente, orecchie da mercante. Anche in occasione di una risoluzione presentata in Consiglio regionale da Lucrezio Paolini e condivisa con Vincenzo Masciovecchio, docente in Tecnica della sicurezza, per impegnare la giunta a verificare con l’Inail i servizi di prevenzione delle Asl e a predisporre adeguati strumenti di supporto alle imprese, e campagne regionali, a percorsi formativi. La risposta dell’assessore competente Andrea Gerosolimo, affidata per l’occasione a Marinella Sclocco, è stata da arrampicata sugli specchi, insomma è andata fuori tema, ha parlato d’altro.
ps: alla Regione non sanno neppure cosa sia la prevenzione. E si è già visto con Rigopiano e con l’incendio sul Morrone.