ROMA C'è il governatore di lotta che riunisce la giunta, decide che il Veneto diventerà regione a statuto speciale, promette di voler trattenere in laguna il 90% delle tasse, e quello che chiama al telefono il premier Gentiloni, annuncia una «trattativa dura», ma conclude la conferenza stampa dicendo: «Voglio confermare che io seguo la strada istituzionale». La differenza tra Zaia e Maroni la segnala Massimo Cacciari annunciando per il governatore veneto un futuro da candidato premier, ma la coglie anche il governo con il sottosegretario Gianclaudio Bressa che definisce «una provocazione» la prima mossa di Zaia.
E così ad un giorno dal referendum, le dichiarazioni distensive appaiono per quello che sono: di facciata. Il Veneto, forte di un'affluenza che sfiora il 58%, annuncia di voler diventare una regione a statuto speciale mentre la Lombardia incassa il via libera delle trattative da parte del presidente del Consiglio. Ma ecco che già arrivano i primi problemi: «Discuteremo di tutto, non di materie fiscali», premette il ministro Maurizio Martina. «Ministro di cosa? Dell'Agricoltura. Il nostro interlocutore è il premier», chiude la questione il governatore Luca Zaia che oggi dovrebbe incontrare proprio Gentiloni nel tour veneto che porterà il presidente del Consiglio prima all'Eni di Marghera e poi alla sede di Generali Italia di Mogliano Veneto.
La consultazione è stata un trionfo, ora il presidente veneto pensa di dettare le sue condizioni con un gioco al rialzo che guarda anche alla campagna elettorale. Una riunione straordinaria della giunta, ieri mattina, ha prodotto un documento in cui si indicano le 23 competenze da riportare a casa e, sul piano finanziario, i nove decimi del gettito fiscale di Irpef, Ires e Iva per gestirli (il federalismo fiscale). Approvato anche un disegno di legge con il quale si chiede il riconoscimento del Veneto come regione a statuto speciale. Si tratta di un solo articolo: «Nel primo comma dell'articolo 116 della Costituzione, dopo le parole la Valle d'Aosta sono aggiunte le seguenti: e il Veneto». «Poiché modifica la Costituzione, dovrà essere approvata dai due terzi del Parlamento. Molto difficile con la maggioranza attuale», riflette l'assessore di FI in un consiglio tutto verde, Elena Donazzan. Senza contare che la legislatura volge al termine e il tempo manca anche per arrivare a concludere una trattativa. Per il governo si è perso tempo, oltre che soldi, ma Zaia sembra interessato a tenere alta la polemica in modo da traghettare l'argomento nella campagna elettorale e magari promettere che solo una nuova maggioranza parlamentare può accontentare i veneti. Il dato politico viene riconosciuto anche da Pd e M5S. Matteo Renzi scrive su Facebook che «il risultato in Lombardia e, soprattutto, in Veneto non va minimizzato» e che «il messaggio è serio: si chiedono più autonomia e più efficienza, maggiore equità fiscale, lotta agli sprechi a livello centrale e periferico». Nel blog di Grillo si legge che «autonomia e partecipazione sono da sempre le stelle polari del M5S. I cittadini di Lombardia e Veneto hanno partecipato, votato e deciso: non possono rimanere inascoltati».
IL TEMA
Rispetto al collega veneto è molto più istituzionale il collega Roberto Maroni che si dice pronto ad aprire la discussione con il premier Gentiloni, «con il coinvolgimento del ministero dell'Economia» per la parte che riguarda il coordinamento del sistema tributario. Il percorso di Maroni prevede una delibera di giunta e l'avvio di una trattativa con il governo centrale. La questione fiscale, per l'ex ministro dell'Interno, non è prioritaria mentre lo è la definizione delle tante materie concorrenti. Gentiloni, che ieri ha incontrato il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, è pronto ad incontrare i due presidenti nel format che si deciderà, senza preclusioni ad altre regioni - come l'Emilia Romagna - che intendono seguire altre strade. Ovvio che la cornice resta quella prevista dalla Costituzione - ex articolo 116 - e dalla legge ordinaria.
Dalla scuola alle imprese ecco i costi dell'azzardo
ROMA La partita tra governo, Veneto e Lombardia, non sarà semplice. Anche perché il rischio non è solo che si giochi su campi differenti, ma che addirittura che tra Roma, Milano e Venezia ognuno giochi ad uno sport diverso. Per rendersene conto, basta leggere il disegno di legge della Regione Veneto approvato ieri a tempo di record. Come hanno ricordato molti esperti, la Costituzione non consente di incidere, attraverso l'autonomia, sul residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto i cittadini di una Regione pagano in tributi e quanto ricevono in servizi. Lo Stato può trasferire alle Regioni maggiori competenze in 23 materie, e le relative risorse. Se in una Regione i contribuenti pagano mille e ricevono ottocento, il residuo fiscale è 200. Se ottengono nuove competenze per 100, Roma trasferisce anche risorse per 100, quelle stesse che usava per finanziare in quel territorio quei servizi. La somma algebrica è zero. I servizi rimangono gli stessi, quello che si sposta sono la spesa e le risorse. Ma dal punto di vista del residuo fiscale nulla cambia.
LA PIATTAFORMA
All'articolo due del disegno di legge approvato ieri dalla giunta del Veneto, invece, viene subito chiarito che l'obiettivo è tenere sul territorio i nove decimi delle entrate fiscali. E le richieste inserite nel testo che fa da piattaforma per la trattativa del governo, vanno tutte in questa direzione, tenere entrate sul territorio. Qualche esempio. Le maggiori competenze sulla «previdenza complementare», vengono interpretate come attribuzione al Veneto del gettito della tassa del 20% sui fondi pensione relativi al territorio. Così come c'è una richiesta per la regionalizzazione del gettito dell'accisa sul gas naturale rigassificato in Veneto. Poi c'è un intero capitolo «fondi pubblici». Come quelli per aiutare il sistema produttivo. I 6 miliardi di euro del fondo rotativo per il sostegno alle imprese, gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, secondo le richieste, dovrebbero essere dati in gestione al Veneto in proporzione del numero di imprese presenti sul territorio. Così come il miliardo e passa del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Ed ancora, la Regione chiede il passaggio sotto il suo controllo di 700 chilometri di strade Anas, la devoluzione di una quota del finanziamento statale ad Agea e la regionalizzazione delle operazioni di Ismea, l'istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare.
Ma la partita più sostanziosa, da un punto di vista di risorse, è quella che si gioca sull'istruzione. Secondo i dati della spesa regionalizzata della Ragioneria generale dello Stato, si tratta di un capitolo che vale 5,5 miliardi per la Lombardia e quasi 3 miliardi per il Veneto. Anche su questo punto la Regione guidata da Luca Zaia ha le idee chiare. Vuole tutte le competenze, comprese tutte le risorse umane, vale a dire la titolarità dei rapporti di lavoro dei docenti e degli amministrativi. Anche sulla salute, l'intenzione è quella di avere una autonomia completa.
I CALCOLI
La sanità è già una competenza regionale, ma il Veneto chiede di ottenere anche le residue competenze statali che, sempre secondo i dati della Ragioneria, valgono circa 300 milioni di euro (circa 800 per la Regione Lombardia). E poi ci sono le competenze sul governo del territorio, un capitolo da 700 milioni per la Lombardia e 670 milioni per il Veneto. Anche in questo caso si chiede la completa autonomia. La Regione guidata da Zaia chiede anche di avere tutte le competenze in materia di procedure di «Via» di valutazione di impatto ambientale, che invece oggi sono dello Stato. Il Veneto, in particolare, vuole fare en plein, provando a mirare diritto all'obiettivo del residuo fiscale. Quello stesso residuo fiscale che se fosse intaccato, come ha ricordato il vice segretario del Pd Maurizio Martina, aprirebbe uno scenario di «quasi secessione».