MILANO La partita istituzionale resta nell'alveo dell'unità nazionale. Ma dopo l'esito dei referendum consultivi per l'autonomia in Veneto e Lombardia, i governatori Luca Zaia e Roberto Maroni provano ad accelerare, alzando la posta nei confronti di Roma. Il più duro è Zaia, forte del 57,2% di affluenza, con il 98,1% di Sì, che gli ha fatto scavalcare il quorum. Il Veneto rivendica ora lo Statuto speciale, e dunque una modifica della Costituzione, insieme all'apertura di quel negoziato col Governo che stava alla base del quesito. Ed è subito scontro con il sottosegretario Gianclaudio Bressa che blocca le macchine e non indica i tempi per avviare la trattativa: già avviata invece con l'Emilia Romagna. In tarda serata il governatore frena precisando che quella dello statuto speciale è una richiesta che sarà oggetto di una proposta di legge costituzionale. E che ora si può e si deve partire dall'articolo 116. La richiesta dello statuto speciale deliberata dalla Giunta sotto forma di proposta di legge costituzionale, «vuole offrire una risposta concreta - ha sostenuto Zaia - alle esigenze della popolazione veneta emerse in tema di autonomia e di federalismo negli ultimi anni». Il Governo, prima della marcia indietro di Venezia, aveva fatto sapere che si tratta di una proposta irricevibile e diversa da quella di cui si è parlato durante la campagna referendaria. «Siamo pronti ad aprire un tavolo subito - ha dichiarato il sottosegretario agli Affari regionali - ma la condizione di partenza è che le Regioni approvino una legge di attuazione dell'articolo 116 della Costituzione». Si tratta di quel regionalismo differenziato su cui è stata incentrata la campagna referendaria delle due Regioni del Nord. La proposta di Zaia sullo Statuto speciale, ha tagliato corto Bressa, «non è di competenza del Governo, ma del Parlamento». Più pragmatica la posizione di Maroni, impegnato ancora a stemperare le polemiche sul voto elettronico, per il ritardo dei dati definitivi. Il presidente della Lombardia chiederà una via intermedia fra lo Statuto speciale e quello ordinario, senza modifiche costituzionali. Ma con Zaia, e magari anche con l'Emilia Romagna, Maroni dovrà fare asse nella fase negoziale con Roma. Anche perché, contrariamente alle proiezioni, l'affluenza in Lombardia è rimasta sotto il 40%, sopra il 38, con i Sì che hanno superato il 95%. Un risultato non pieno come quello veneto, che Maroni però considera solido grazie agli «oltre 3 milioni» di consensi al quesito. «Ho parlato con il presidente Gentiloni - ha rilanciato -, che mi ha confermato il via libera al confronto su tutte le materie previste dalla Costituzione, con il coinvolgimento del ministero dell'Economia» su quella del coordinamento del sistema tributario. Maroni, come Zaia, vuole sfruttare il vento favorevole, dopo il voto. I titoli di prima pagina. L'interesse della stampa internazionale. Il sostegno trasversale degli elettori (da destra a sinistra, passando per i 5 Stelle) all'autonomia. E le parole nette del segretario della Lega, Matteo Salvini, che ha promesso referendum in tutta Italia: «È stata una lezione di democrazia, e chi diceva che la linea nazionale della Lega avrebbe trovato problemi al Nord non ha capito un accidente». Forse il dato più rilevante è che persino alcuni degli avversari hanno riconosciuto il dato politico dei referendum di domenica, a prescindere dalla lettura che viene data ai numeri. «Il risultato in Lombardia e, soprattutto, in Veneto non va minimizzato», ha detto Matteo Renzi, segretario del Pd che si era schierato per l'astensione ai due referendum considerati «inutili». «Autonomia e partecipazione sono da sempre le stelle polari del M5S. I cittadini di Lombardia e Veneto hanno partecipato, votato e deciso: non possono rimanere inascoltati», scrive invece il blog di Beppe Grillo.