L’aumento dell’aspettativa di vita certificato ieri dall’Istat tocca anche i requisiti necessari per l’uscita anticipata dal lavoro a prescindere dall’età anagrafica. Per andare in pensione prima rispetto all’età di vecchiaia (ovvero l’ex pensione di anzianità contributiva) dal 2019 saranno infatti necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne. Cinque mesi in più come per la pensione di vecchiaia. Attualmente infatti per l’uscita anticipata sono necessari almeno 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
Non solo l’età della vecchiaia o il requisito contributivo della pensione anticipata: l’adeguamento all’aspettativa di vita riguarda anche altri parametri, ad esempio quelli che riguardano i lavoratori che ricadono in pieno nel sistema retributivo avendo iniziato a versare contributi dal 1996. Per loro ad esempio si adegua il requisito minimo della pensione flessibile originariamente fissato a 63 anni. Da quest’anno e fino al 2026 sono immuni dal meccanismo demografico solo coloro che vanno in pensione con le regole particolari riservate ai lavori usuranti.
Dentro le regole previdenziali vecchie e nuove ci sono anche casi paradossali: in pratica potrà succedere che due compagne di banco nate nel 1953 vadano in pensione con 30 anni di differenza. La prima ha cominciato a lavorare nel pubblico impiego nel 1974, a 21 anni ed è andata in pensione nel 1988 a 35 anni utilizzando le regole in vigore fino al ‘92 (14 anni sei mesi e un giorno di contributi per le donne sposate con figli). La seconda, laureata, ha iniziato a lavorare a 26 anni, nel 1979, nel privato. Questa signora, oggi 64enne, dovrà aspettare per uscire dal lavoro il 2020 e andrà in pensione con oltre 30 anni di età in più.