ROMA Il Rosatellum bis passa al Senato a colpi di fiducia, cinque in poche ore, grazie al ruolo determinante dei «verdiniani», compattamente sempre presenti in Aula per garantire il numero legale, e alle assenze tecniche di Forza Italia. In vista del via libera definitivo di oggi, con voto palese elettronico, l'esecutivo supera così l'esame delle «cinque chiame» in un clima di caos in Aula, tra gestacci e insulti. Tensione altissima anche in piazza, dove in un Pantheon gremito è ancora Grillo show. Ma è bufera anche all'interno del centrosinistra, con gli esponenti di Mdp che denunciano furiosi un clamoroso «cambio di maggioranza». «Oggi si conclude la triste parabola di chi è entrato con Bersani e ne esce con Verdini», dice Miguel Gotor attaccando frontalmente i dem. Una fibrillazione che potrebbe avere delle conseguenze anche nell'esame della legge di bilancio, già sul filo in commissione a Palazzo Madama. Una giornata campale in cui Giorgio Napolitano, in questo ultimo atto di una legislatura che lui ha sempre voluto fosse costituente, torna «mattatore». Prende la parola a mezzogiorno in un silenzio carico di attenzione, per criticare duramente il ricorso alla fiducia, ma al contempo difendere il difficile ruolo del premier Paolo Gentiloni, «sottoposto a forti pressioni». Spiega di essere «rammaricato» del fatto che abbia «dovuto aderire» alla richiesta di fiducia. Tuttavia si dice favorevole, malgrado «tutte le problematicità e le riserve», alla fiducia al governo. Poi però, nel corso del pomeriggio, non partecipa alle tante «chiame» ma fa sapere che domani «affiderà al voto elettronico finale sul provvedimento l'espressione della fiducia al Governo Gentiloni già annunciato in aula». Sin dalla prima mattina di ieri, alcuni senatori avevano fatto presagire i trambusti che avrebbero accompagnato tutta la giornata. Il culmine della tensione arriva a metà pomeriggio, quando, in un clima ormai di corrida, il senatore pentastellato Michele Giarrusso, dopo aver votato, rivolge a Verdini un esplicito gesto dell'ombrello. Scoppia il putiferio e i commessi devono mettercela tutta per sedare un inizio di rissa. Poco più tardi, le proteste grilline non risparmiano nemmeno Pietro Grasso: sempre Crimi lo invita a «dimettersi» in segno di protesta contro la condotta del governo. Ma lui replica fermo: «A volte è più duro resistere che mollare. Per senso delle istituzioni rimango al mio posto. Come sapete non ho accettato di candidarmi in Sicilia proprio per poter continuare a espletare il mio compito». Malumori molto più pacati ma altrettanto significativi anche all'interno del Pd: Vannino Chiti assieme ad altri cinque senatori dem annuncia di non votare la fiducia, definendo questa scelta «un grave errore». I voti si susseguono costanti: la maggioranza li supera senza grandi problemi, sempre attenti a mantenere l'Aula in numero legale. Alla fine della seduta, proprio prima dell'ultima fiducia, sull'articolo 6 della riforma, le opposizioni, Si, Mdp e M5s lasciano l'Aula. L'intero gruppo dei senatori pentastellati abbandona Palazzo Madama. Domani, Rosatellum «ultimo atto»: le dichiarazioni di voto e voto finale elettronico. Poi Conferenza dei capigruppo per decidere il calendario della manovra, il cui cammino sembra complicarsi proprio per l'altissima tensione a sinistra. Tensione che più di qualcuno nella maggioranza prevede che si scaricherà sui lavori della commissione bilancio e quindi sull'iter sereno della manovra.