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Data: 27/10/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Riforma elettorale - Ok al Rosatellum e Grasso lascia il Pd. Il Senato vara in via definitiva la nuova legge elettorale. Lo strappo del presidente: «La misura è colma»

ROMA Ha ingoiato tutto in silenzio per anni facendo buon viso a cattivo gioco perché il compito che gli è stato affidato è quello di rappresentare e difendere l' istituzione Senato. E spesso, come ha ricordato lui stesso in Aula rispondendo al M5S, «è più difficile restare che andare via». Ma ora la misura è colma e il presidente di Palazzo Madama, nel giorno in cui passa al Senato in via definitiva il «Rosatellum» e Denis Verdini entra ufficialmente nella maggioranza, prende le distanze da un partito con il quale non si trova più in sintonia e del quale non condivide più né metodi usati, né contenuti, e lascia il gruppo del Pd. A norma di regolamento sarà iscritto al gruppo Misto, quello presieduto da Loredana De Petris che immediatamente gli dà «il benvenuto». Con il suo gesto, Grasso crea un precedente clamoroso, come osserva anche Alessandro Di Battista (M5S), perché nella storia repubblicana non si era mai visto un presidente del Senato lasciare il gruppo di appartenenza a fine legislatura. Unica eccezione: Cesare Merzagora che pur essendo stato eletto con la Dc si era iscritto volutamente, ma sin dall'inizio, al Misto. Grasso ha un temperamento mite, e se è arrivato a una simile decisione è perchè la situazione è diventata complicata. «Quando mi sono candidato nel Pd - motiva il suo gesto la seconda carica dello Stato - mi riconoscevo in principi, valori e metodi che poi si sono andati perdendo nel corso degli anni». Pertanto meglio prendere le distanze da un partito e da un segretario che anche con forzature come quella delle 8 fiducie sulla legge elettorale contribuisce a comprimere il ruolo del Parlamento. La decisione di «Grasso è inaspettata e non prevedibile» commenta il presidente dei senatori Dem Luigi Zanda, mentre Maurizio Martina parla di «una scelta che amareggia». «Mi meraviglio che non lo avesse già fatto» è l'osservazione al vetriolo di Roberto Giachetti. In realtà è «una scelta tardiva» ribatte Vito Crimi (M5s) perchè «se si fosse dimesso ieri, come gli avevamo chiesto, il suo nome non comparirebbe ora tra i responsabili del Rosatellum. Ed è proprio rispondendo a Crimi in Aula che Grasso, già ieri, aveva fatto trapelare un certo disagio. In risposta alla richiesta di dimissioni aveva infatti reagito affermando che «può essere più duro resistere che abbandonare con una fuga vigliacca». La scelta di Grasso di lasciare il gruppo è stata sofferta. Anche se la rottura con il partito e Renzi sembra venire da lontano, dai tempi della riforma. Da quando si forzarono anche in quel caso tempi e norme e si ricorse a escamotage come il «canguro» per tagliare gli emendamenti. Poi fu la volta della campagna referendaria dai «toni eccessivi e personalistici» non condivisa anche dal presidente Giorgio Napolitano che pure si era impegnato tanto per la riforma. Ma di screzi tra la seconda carica dello Stato e il Pd ce n'è più di uno. Non ultimo quello del 24 settembre quando Matteo Orfini lo accusò di usare i toni «dell'antipolitica» e di non rispettare il ruolo dei partiti. Un'accusa alla quale Grasso ribattè: «Io rispetto i partiti ma loro rispettino il Parlamento». Ora sul suo futuro sono in molti a interrogarsi e c'è chi lo vede in corsa con Mdp. «Per il futuro sivedrà, non è certo oggi la giornata giusta per parlarne».


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