ROMA Con un sì largo che più largo è difficile vedere, il Senato ha dato il disco verde definitivo alla nuova legge elettorale. Sono stati 214 le lucette verdi, i sì, 61 i contrari, 2 gli astenuti. Il Rosatellum è legge. Alle prossime elezioni, si voterà con una vera legge elettorale, decisa e approvata dal Parlamento e non dalle sentenze dei giudici della Consulta. Il patto a quattro Pd-FI-Lega-Ap ha tenuto, a loro si sono aggiunti i 13 verdiniani questa volta non decisivi ma politicamente presenti, così come hanno continuato a tenere testa i contrari, quelli del no, M5S-Mdp-Si. Non hanno votato la legge neanche 7 senatori dem tra i quali Chiti, Manconi, Mucchetti, non l'ha votata il senatore a vita Monti. Non sono mancate le polemiche. Vittima illustre delle fiducie è il presidente Pietro Grasso, che a votazioni appena concluse ha annunciato che lascia il gruppo del Pd per iscriversi al Misto, Grasso si era adoperato perché le fiducie al Senato non venissero poste, ma la sua rotta di collisione con il Pd datava ormai da tempo. Plaudono a sinistra Fratoianni, Speranza e De Pretis. Se ne dolgono Martina e Zanda. Ed è proprio il capogruppo del Pd al Senato spiegare che non ne sapeva nulla e la scelta sarebbe dettata dal dissenso maturato sui contenuti della legge elettorale e per i ripetuti voti di fiducia. Votata la legge Rosato e battuto in aula, M5S ha rivolto i propri strali verso il Colle (anche se ha rinunciato alla manifestazione sotto il Quirinale), pressando il capo dello Stato a non firmare la legge. Ma dal Colle, il presidente in persona si è assunto il compito di spiegare come funziona il mandato presidenziale rispetto alle leggi del Parlamento. Rispondendo alla domanda di uno studente, Sergio Mattarella ha spiegato: «Quando mi arriva qualche provvedimento, una legge o un decreto, io, anche se non lo condivido appieno, ho il dovere di firmarlo». Il motivo? «Devo accantonare le mie convinzioni personali perché devo rispettare quello che dice la Costituzione». In pratica, spiegano al Colle, i criteri di costituzionalità non coincidono con quelli di popolarità, e non tutte le leggi brutte sono necessariamente incostituzionali.
CLIMA TESO
Clima teso anche ieri, ma senza risse o assalti alla presidenza. Un momento di protesta vistosa si è avuto quando ha preso la parola Denis Verdini, con M5S che ha lasciato l'aula. L'ex coordinatore FI ha sorriso, poi ha pronunciato l'elogio del verdinismo: «Noi non siamo entrati ora in maggioranza, ci eravamo già e lo saremo anche in futuro». «Nient'affatto, la maggioranza non è cambiata, il fatto è che la legge elettorale è stata votata da chi ci sta, non c'era altro modo», ha voluto puntualizzare Matteo Renzi