ROMA Pietro Grasso lascia il Pd e Mario Monti vota contro. I primi effetti della legge elettorale non tardano a manifestarsi. Poche ore dopo l'approvazione definitiva della legge elettorale si produce il primo smottamento importante. Il presidente del Senato lascia il gruppo del partito che lo ha eletto - e che un mese fa voleva candidarlo in Sicilia - e si iscrive al misto presieduto da Loredana De Pretis, esponente di SI. Motivo? La legge elettorale e i voti di fiducia chiesti dal governo sono stati mal digeriti dal presidente del Senato.
I PUNTI
«Non mi riconosco più nel Pd, né sui metodi né nel merito», avrebbe confidato ai suoi Grasso che a palazzo Madama è arrivato con il Pd a guida Bersani, e sempre l'allora segretario Dem spinse per la sua elezione a seconda carica dello Stato. Il conto alla rovescia della legislatura è ormai iniziato. Ieri Sergio Mattarella ha incassato uno dei due punti che ha sempre considerato decisivi prima dello scioglimento delle Camere. All'appello manca ora solo la legge di Bilancio che verrà votata prima di Natale e che rappresenterà l'ultimo atto della legislatura, a meno che il Pd non tenti di nuovo sullo ius soli.
A poche settimane dal voto, mentre c'è chi si esercita nello stucchevole gioco del è cambiata la maggioranza o no?, il Pd perde però un altro pezzo, anche se l'addio di Grasso era da un po' nell'aria. Alcuni lo datano proprio nel giorno del rifiuto della candidatura in Sicilia che veniva data ormai per certa quando, sostengono, sarebbero intervenuti proprio D'Alema e Bersani per spingerlo al rifiuto in modo da evitare che Renzi potesse intestarsi una vittoria, o quasi, in Sicilia. Malignità o «motivi istituzionali», ma è certo che tra il gruppo del Pd al Senato e Grasso le tensioni sono state frequenti. Con Monti il presidente del Senato potrebbe avere in comune non solo il no alla legge Rosato - che Grasso aveva annunciato al capogruppo Zanda ma non espresso in aula per motivi istituzionali - ma anche modi e tempi della sua discesa in campo due mesi prima del voto. Infatti Grasso in queste ore va ripetendo che non si sbilancerà sul suo futuro politico finchè avrà il ruolo di arbitro che gli assegna la Costituzione. Occorrerà attendere il decreto di scioglimento delle Camere del presidente della Repubblica, ma evidenti tracce delle sue intenzioni si sono colte un mese fa alla festa di Mdp di Napoli dove «il ragazzo di sinistra» ha avuto applausi e standing ovation finale. Grasso-leader è il sogno di tutta quel mondo, a sinistra del Pd, che ha sempre mal digerito Giuliano Pisapia e i suoi tentativi di leadership a tempo. Nella spasmodica corsa alla ricerca di un frontman dietro al quale traghettarsi nella prossima legislatura, Grasso rappresenta l'approdo ideale per curriculum, ruolo e possibile capacità di attrazione di un altro gruppetto di parlamentari uscenti ancora senza casa. Posizionamenti e bandierine issate che prima o poi dovranno però fare i conti con la logica delle coalizioni prevista nella legge elettorale. Al Nazareno la convinzione di molti, Lorenzo Guerini in testa, è che «solo dopo le elezioni regionali siciliane si comincerà a ragionare veramente sui collegi e sul rischio che la sinistra consegni il Paese alle destre».
L'INIZIO
I primi segnali potrebbero vedersi già al momento della trattativa sulla legge di Bilancio che solo la prossima settimana inizierà il suo iter a palazzo Madama in commissione Bilancio. Il Pd renziano ha iniziato a mettere i primi paletti sollevando il tema dell'innalzamento dell'età pensionabile che Gentiloni affronterà con i sindacati il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti. I numeri a palazzo Madama sono tornati a ballare come ad inizio legislatura ma per il Quirinale sulla legge di Bilancio non sono ammesse sorprese. Archiviata la legge elettorale dovrebbe cessare l'argomento di ricatto, ma la campagna elettorale è alle porte e il rischio che vengano piantati altri paletti è forte e per Gentiloni e il ministro Padoan la strada è tutt'altro che in discesa.