Luciano D'Alfonso inaugura la stagione della tolleranza zero per l'uso ritenuto «lesivo» dell'informazione e dell'azione politica. Prendendo spunto dall'episodio che ha visto protagonista il consigliere comunale di Pescara Marcello Antonelli (50mila euro falsi consegnati al governatore alla presenza del ministro Lotti), D'Alfonso spiega in questo intervento le ragioni della sua scelta.
Gentile direttore,la critica in democrazia è non solo un diritto costituzionalmente garantito ma anche uno stimolo, se fatta con intenti costruttivi o comunque non denigratori. Quand'essa si trasforma invece in strumento di diffamazione, ecco che scattano le tutele previste dall'ordinamento giuridico.Da quando sono stato eletto alla presidenza della Regione, ho ritenuto di esercitare azioni civili nei confronti di quattro persone: il consigliere comunale pescarese Marcello Antonelli, che mi ha accusato di aver manovrato per far destituire l'assessore Stefano Civitarese (tuttora saldamente al suo posto) dalla Giunta municipale di Pescara a causa del suo diniego sul progetto Pescaraporto; il consigliere regionale Domenico Pettinari, secondo il quale avrei "grande responsabilità" nell'acquisto di una palazzina da parte della Asl di Pescara, vicenda oggetto di azione penale; la giornalista Adelina Mandara, secondo la quale avrei tolto all'assessore Silvio Paolucci la delega al Patrimonio per favorire l'impresa Maltauro e l'acquisto de La City; e una persona di Atessa, che ha scritto sul web di un procedimento terminato con la mia assoluzione da parte del tribunale di L'Aquila, motivandola con il fatto che il magistrato Giampiero Di Florio - titolare dell'accusa e in servizio a Pescara - era intervenuto ad una manifestazione da me organizzata ("il magistrato che lo ha assolto in campagna elettorale era in prima fila ad applaudirlo"). Questi quattro casi hanno in comune un medesimo tratto: il volermi attribuire fatti che presentano un evidente rilievo penale. Va ricordato che nel 2008, per episodi simili, veicolati prima sulla rete e poi fatti arrivare all'autorità giudiziaria, dovetti affrontare una lunga vicenda processuale che terminò con la mia assoluzione da tutti gli addebiti; ma intanto fu bloccata una consiliatura comunale appena avviata e venne causato un dolore gigantesco a me e alla mia famiglia. Da allora ho giurato ai miei figli che non avrei mai più permesso ad alcuno di ledere la mia reputazione con accuse che potessero profilare un risvolto penale.Tutti possono formulare critiche, senza però valicare i limiti dell'offesa: dire che io sono autoritario fa parte della critica politica, ma sostenere che io abbia inesistenti responsabilità penali diventa diffamatorio. L'ordinamento è chiaro: chi è convinto di avere prove in merito a reati commessi da qualcuno, deve poi produrle dinanzi ad un magistrato; se lo dice sui mezzi di comunicazione e non lo fa, è passibile di azione giudiziaria. Nei casi sopra citati ho avvertito una lesione del mio onore e ho quindi demandato ad un giudice terzo l'accertamento della verità. Va anche fatta una riflessione su un altro aspetto: io possiedo gli strumenti culturali e materiali per difendermi in queste circostanze, ma se la stessa situazione capitasse ad un cittadino che non si trova nelle mie stesse condizioni, cosa accadrebbe? Si tratta di una questione di civiltà, il resto è barbarie.
Luciano D'Alfonso
* Presidente della Regione Abruzzo