PALERMO «Qui si mangia carne di cavallo, che rende forti. Ma noi siamo già delle tigri». La battuta è di Silvio entrando alla Trattoria del Cavaliere - non l'ha scelta Berlusconi ma Musumeci - e tutti ovviamente gli dicono «bravo». La cena della riappacificazione tra Berlusconi e Salvini, prevista e strombazzata, diventa un caffè in cui si abbracciano e il leader leghista subito precisa rivolto ai presenti: «Abbiamo parlato di Milan». Forse per questo si sono abbracciati. Basta che non si parla di chi è più forte di chi, e i due possono convivere. E Salvini, pur avendo già mangiato da solo e da un'altra parte e sentendosi libero di non dover stipulare nessun patto di governo come vorrebbe il leader, assaggia insieme al Cavaliere un po' di carne di cavallo siciliana. Che dopo il caffè e l'ammazzacaffè non dev'essere il massimo. Specie se ormai è mezzanotte.
I NODILa Meloni è qui alla Trattoria del Cavaliere e anche Musumeci, Cesa, La Russa, Armao. Non è una cena o un dopo cena veri, quelli che servono a dirimere le tante questioni politiche che dividono il centrodestra in Sicilia e in Italia. E' una comitiva che cerca un po' di relax anche dalle proprie ansie e vicendevoli gelosie. Mentre Salvini si fa attendere, Sgarbi, futuro eventuale assessore ai Beni Culturali con Musumeci, scherza: «Non è che Salvini è a cena con Grillo?». Berlusconi è educato ma diffida del leghista. Il leghista mostra simpatia, ma non sopporta che Berlusconi non lo voglia considerare un leader suo pari. Intanto Musumeci, che non va d'accordo con Miccichè e che non ama gran parte della compagnia forzista, entrando al ristorante dice ad alcuni presenti: «Se dopo la vittoria credono di condizionarmi, io li mando a quel paese». Diffida non di Berlusconi il candidato presidente, ma dei berluscones. Teme che il suo candore possa essere sporcato da frequentazioni cui non è abituato.
Prima della cena anzi del caffè notturno, tre manifestazioni pomeridiane separate: la Meloni a piazza Stesicoro, Salvini davanti al teatro Bellini, Berlusconi nella location delle Ciminiere. Quando un gruppo di missionari della libertà berlusconiani, muniti delle loro bandiere, passano accanto alla piccola folla che aspetta Salvini, vengono accolti così dai leghisti siculi: «Ma che ci fate qui? Voi pensate soltanto a fare l'inciucio a Roma con Renzi». Il clima di divisione nell'unità, ma sarebbe meglio dire di divisione nella separazione, nel centrodestra questo è. E come dice la Meloni, «tutti i discorsi sul programma e sui ministri restano aperti, non li abbiamo mai affrontati». Nè al ristorante né altrove. Anche se Berlusconi non fa che ripetere che già è tutto deciso praticamente su tutto e tutti sono d'accordo fra di loro e con lui. La verità è che Berlusconi non ha affatto gradito il tour siciliano di Salvini, e la sua pretesa di presentarsi alla regione e al mondo come un leader suo pari. E voglioso di superarlo nei voti alle politiche. Anche per questo, per restare il number one, Berlusconi ieri al comizio catanese è stato più che mai SuperSilvio. Un battitore libero di promesse pirotecniche. «Faremo un casinò a Taormina». Ma questo è il minimo. «Costruiremo finalmente, appena torniamo al governo, il Ponte sullo Stretto». Comunque Musumeci, che è una sorta di simbolo di legalità, non fa entrare i cosiddetti impresentabili. Per esempio Riccardo Pellegrino, uno dei candidati forzisti più discussi, e gli fanno sapere che non è gradito.
Silvio lancia il grido «un grande Piano Marshall per aiutare la Sicilia». A cena, ma anche prima e dopo, vorrebbe che Salvini (il quale minimizza: «Di ministri parleremo quando sarà il momento») stipulasse un patto di sottomissione (il patto della polpetta?) e non riesce a contemplare il fatto che Matteo, anche se la sua piazza ieri sera era semi-vuota, presuma di poterlo superare nei consensi. Per evitare il rischio, Berlusconi alza il livello delle promesse: «più porti, più strade, più autostrade, più ferrovie». Ma soprattutto: «Cari catenesi, fate una preghiera per Sant'Agata». E subito un tweet di Sergio Scandura, di Radio Radicale, gli ricorda: «Renzi disse prima del referendum che Sant'Agata vota per il Sì, e poi perse».
Renzi prepara il dopo voto: ok al match tv con Di Maio
ROMA E venne il Grande Duello. Martedì sera, a urne siciliane ancora calde e vittoria o batosta da celebrare o smaltire, Luigi Di Maio e Matteo Renzi andranno in tv per menarsele di santa ragione. E per accreditarsi l'un l'altro come il competitor da battere nella corsa per palazzo Chigi. «Una grande occasione», a sentire il segretario dem, che così spera di mettere la sordina alla probabile sconfitta in terra di Sicilia e di rilanciare la propria leadership. «Il palcoscenico migliore per denunciare il grande inciucio tra Renzi e Berlusconi», a detta del candidato premier a cinquestelle che però ha sorpreso tutti creando molto sconcerto tra i suoi per «una decisione presa senza consultare i vertici del Movimento», sostengono i bene informati.
Tutto comincia come nei duelli di un tempo. «Ti sfido». «Accetto, decidi tu dove». Ma, al passo con i tempi, il guanto viene lanciato da Di Maio via Twitter: «Non è una fake news, Renzi ha un accordo per spartirsi la Sicilia e l'Italia con Berlusconi. Voglio un confronto tv dopo il 5. Ci stai?». Un'ora e mezza dopo da Chicago, mentre Porta e Porta su Rai1 e Piazza pulita su La7 già sono corse a offrirsi come sede del duello, Renzi twitta a sua volta: «Ok, Di Maio, accolgo la tua sfida. Mi va bene martedì 7 novembre. Decidiamo se farlo in Rai o su qualche rete televisiva. I ci sono». E poi su Facebook il segretario dem aggiunge, proiettandosi (volentieri) già verso le elezioni nazionali di primavera: «Esistono trasmissioni di approfondimento su Rai1, Rai3, La7. Penso sia giusto non sottrarsi: gli italiani dovranno scegliere a chi consegnare i prossimi cinque anni. Dunque è giusto metterci la faccia. A martedì sera, amici».
PIOGGIA DI TWEETPassano venti minuti. Di Maio indica il luogo della singolar tenzone: «Va bene martedì 7 da diMartedì con Floris. E' la più vista in prima serata». Sembra fatta per La7. Invece un'ora dopo Marco Agnoletti, portavoce di Renzi, su Fb scrive: «Confermo il confronto. Valutiamo le proposte e le regole d'ingaggio che ci sono arrivate dalle trasmissioni. Sono disponibile a incontrarmi con il portavoce di Di Maio». Poi la virata: «Per il confronto proponiamo la Rai perché è dei cittadini, non di un privato. Ma pronti a valutare tutte le proposte». E Viale Mazzini, sollecitata da Michele Anzaldi («spieghi agli italiani che pagano il canone perché si finisce su una tv commerciale»), a stretto giro di posta prima propone Cartabianca, poi un'edizione speciale di Porta a Porta. Renzi ha accolto il guanto di sfida di Di Maio come una buona novella. Un modo per passare al contrattacco, indossando i panni del leader che fuori e dentro al Pd qualcuno in quelle ore tenterà di stracciare. «Di Maio ci ha fatto un gran favore», dice un altissimo dirigente dem che lavora a fianco del segretario, «lunedì la discussione sul voto in Sicilia sarà messa in sordina dal dibattito sulla vigilia del big match in tv. Il leader grillino contro quello del Pd: già un duello elettorale in vista delle elezioni nazionali. Uno che accredita l'altro. Non potevamo sperare di meglio: la conferma della premiership del centrosinistra non ce la portiamo a casa così, ma è un passo in avanti». Al Nazareno sono convinti che Renzi «farà polpette» del candidato cinquestelle. E sono certi, quelli del Pd, che «la mossa di Di Maio sia ridicola, un grave errore di comunicazione: chi è dato in testa ai sondaggi non sfida quelli che inseguono. E' l'Abc. In più ha offerto a Renzi la possibilità di passare al contrattacco, invece di farsi rosolare nelle polemiche post-voto». Nel quartier generale grillino c'è chi parla di «mossa improvvida, spericolata» che avrebbe spiazzato molti grillini: «C'è il serio pericolo di resuscitare Renzi, tanto più che inevitabilmente si finirà a parlare di Sicilia per pochi minuti per parlare invece della pessima eredità dei governi del Pd». Ma Di Maio è convinto di «stravincere». Andrà in tv per dare «lo schiaffo finale» al segretario dem. «Che è già morto, è il passato». Chiosa di Matteo Richetti, portavoce nazionale dem: «Se Di Maio non trionfa in Sicilia, dopo tutti i mesi trascorsi lì, si dovrà dimettere». E' già duello.