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Data: 06/11/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
M5S: noi soli contro tutti vigiliamo, rischio brogli. Terremoto tra i dem Orlando vuole Gentiloni Renzi: il leader resto io

ROMA Massima prudenza per il Movimento di Giancarlo Cancelleri che secondo gli exit poll di Ipr diffusi ieri sera dopo le 22 si attesta tra il 33 e il 37%. Ma certo, ammettono nel quartier generale pentastellato, la corsa verso palazzo Chigi rischia una brutta frenata. Cancelleri ha deciso che parlerà solo oggi, quando comincerà lo spoglio. Lui e lo stato maggiore del M5S si aspettavano di superare Musumeci già negli exit poll. «Siamo i vincitori morali» questa la sintesi politica a caldo di ieri sera. Ma l'onorevole eventuale secondo posto non è il bottino immaginato. E nella notte Di Battista lancia la chiamata alle armi: «Stanotte faranno porcherie, occhi aperti e sacchi a pelo pronti». Il web si mobilita: «Vigilanza ai seggi», è il passa parola.
I RITI
Un velo di amarezza dunque aleggiava nonostante fossero stati allestiti tutti i riti e i preparativi per la festa. Lo stesso rito del 2013: la visione del film V come vendetta, incentrato sul 5 novembre, che ieri circolava anche sui social. Ieri sera è andato avanti l'eurodeputato Ignazio Corrao, vicinissimo a Cancelleri. «Gli exit poll sono dati relativi ma il nostro risultato è fantastico - ha detto - eravamo da soli contro le accozzaglie, armate brancaleone e di gente impresentabile». Ieri ai piani alti del Movimento c'è chi si è divertito con il pallottoliere pensando al Rosatellum: «Qui abbiamo ampiamente doppiato Forza Italia e abbiamo praticamente quadruplicato il Pd». Il candidato presidente è rimasto tutto il giorno nella sua città natale, Caltanissetta, dove è stato allestito anche il comitato elettorale che però ieri sera è rimasto chiuso. L'affluenza nel capoluogo nisseno è stata del 49,23%, mentre nel 2012 era 47,28%.
Ma la battaglia contro l'astensione non ha fatto breccia. In serata, quando mancavano un paio d'ore alla chiusura delle urne si è fatto avanti con un video in diretta su Facebook il deputato romano Alessandro Di Battista che chiedeva sommessamente di andare a votare.
Gli attivisti storici si sono prodigati con appelli disperati come questo: «Andate a votare vi prego, questo treno non ripasserà più!». Nervi tesi, dunque. Il senatore Nicola Morra si è indignato per un'intervista trasmessa in tv, «Poco fa è andata in onda la replica dell'intervista-santificazione di Berlusconi da Costanzo - scrive arrabbiato Morra - Oggi, giorno delle elezioni in Sicilia. Anche per dire basta a questi abusi dobbiamo dare una lezione democratica, alle urne, a chi usa le proprie tv per fare propaganda». In Sicilia è palpabile il sogno di conquista di Palazzo Chigi. L'isola è considerata un serbatoio eccezionale di voti per il M5S. Alle Politiche del 2013 il M5S ottenne oltre il 33% dei voti rispetto al dato complessivo nazionale del 25,5. Proprio come Ostia, dove l'allora candidata sindaco Virginia Raggi scelse di chiudere la sua campagna elettorale e fu premiata con il 76% al ballottaggio. In Sicilia, il M5S durante la campagna elettorale ha potuto ancora vantarsi non aver governato. Ecco perché Di Maio ha trovato più congeniale l'isola invece che il X Municipio come investimento elettorale. Inoltre in Sicilia, il Movimento ha potuto sperimentare il vero sogno proibito del M5S: un'operazione politica su vasta scala, l'ultima possibile prima delle elezioni politiche che si terranno con il Rosatellum.
Tenendo salde le radici a sinistra che hanno permesso in questi giorni flirt più o meno spinti con i bersaniani di Mpd, il M5S sogna di allargarsi a destra e attirare voti moderati che in passato erano stati calamitati da Silvio Berlusconi. Non è un caso che mentre manca pochissimo alla chiusura delle urne Massimo Bugani, braccio destro di Davide Casaleggio dica su Facebook: «Il centrodestra non esiste. Non è una coalizione, è un somma di liste che si uniscono un secondo prima del voto e si dividono un secondo dopo». Tradotto: quello che voi, elettori, vi ostinate a chiamare centrodestra c'est moi, siamo noi.

Terremoto tra i dem Orlando vuole Gentiloni Renzi: il leader resto io

ROMA «Non credo che attaccheranno la segreteria, non hanno i numeri. Diranno piuttosto che, per battere destra e grillini, serve una coalizione larga e soprattutto che io non sono quello giusto per unire...». Matteo Renzi, appena letti gli exit poll con quella che il responsabile degli Enti locali Matteo Ricci definisce «una sconfitta netta e annunciata», già studia le mosse dei potenziali avversari. In primis Andrea Orlando, Michele Emiliano e «forse» anche Dario Franceschini.
Il segretario non è sorpreso dai dati che rimbalzano da Palermo. Aveva messo in conto la batosta. Non a caso mille volte aveva detto: «I risultati siciliani non hanno valenza nazionale». «E poi», ragionano adesso al Nazareno, «Micari ha superato la soglia del 20%, staccando Fava e l'ha fatto nella terra del 61 a zero per la destra». «Micari ha avuto coraggio, Grasso no», sibila il proconsole siculo Davide Faraone. Peccato che i voti del Pd sarebbero in netto calo. E anche a Ostia è andata male.
L'offensiva contro Renzi è sicura. Orlando l'ha detto chiaro: «Il segretario non è in discussione, ma serve una coalizione e il candidato premier si decide con gli alleati». Concetti accarezzati (con prudenza) anche da Franceschini. Lo schema scelto dagli avversari di Renzi suona più o meno così: per fare «un'alleanza larga» serve «un federatore», qualcuno inclusivo e capace di unire. Il segretario dem è convinto che Orlando & C. abbiano già in tasca, per metterlo in difficoltà, un nome pescato nella cerchia stretta dei renziani doc, un amico fedele e fidato: Paolo Gentiloni. «E se Bersani dovesse aprire a questa ipotesi», dice un esponente vicino al leader dem, «la soluzione Gentiloni prenderebbe slancio, perché suonerebbe come la conferma che Paolo è in grado di unire il centrosinistra. Ma chi fa le campagne elettorali battendo a tappeto l'Italia? Renzi o Gentiloni? Sicuramente il primo. Anche Monti aveva un grande consenso quand'era al governo, poi però la sua campagna elettorale fu un disastro».
LE TRE OPZIONI
Per affrontare questa minaccia, Renzi ha rivelato ai suoi di avere davanti tre strade. La prima è far finta di nulla (già lunedì prossimo riunirà la Direzione del partito) e dire che il centrosinistra farà come il centrodestra: il premier si decide dopo le elezioni in base a chi prende più voti. Opzione bocciata da Orlando. La seconda, che può essere imboccata dopo la prima: accettare le primarie di coalizione. «Ma cosa le propongo a fare?», ha confidato Renzi, «se chi dovrebbe allearsi vive le primarie come una minaccia in quanto sa che vincerei io? Certo, se si sfilassero potrei dire che hanno avuto paura, ma così la coalizione non decollerebbe».
La terza strada è la più amara, somiglia molto a una via crucis. Non a caso è quella più gradita ai suoi avversari. E' la strada che porterebbe Renzi ad accettare di lanciare Gentiloni come candidato del centrosinistra. Sarebbe però come fare harakiri. Vorrebbe dire archiviare la sua stagione di leader di lotta e di governo. «E credo che debbano essere gli italiani, non degli esponenti di partito», ha confidato il segretario, «a decretare con il loro voto se la mia stagione politica deve essere considerata chiusa».
Insomma, Renzi si prepara a esplorare le prime due strade. Tiene la terza come extrema ratio. La imboccherà solo e soltanto se costretto. Non tanto da Orlando, Emiliano o da Franceschini («il partito lo controllo io»), quanto dai promessi alleati della coalizione in costruzione. Il segretario confida però che il duello tv di domani con Luigi Di Maio possa rilanciare la sua leadership: «E' già una sfida elettorale, ci permetterà di smettere subito di parlare di Sicilia», incrociano le dita al Nazareno.

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