ROMA Matteo Renzi l'aveva previsto. Né Andrea Orlando, né Dario Franceschini e neppure Michele Emiliano chiedono le sue dimissioni da segretario. Nel day-after della sconfitta in Sicilia e della batosta a Ostia, i tre però cominciano il pressing per spingere l'ex premier a un passo di lato. «Perché ora è più chiaro che mai», dice ai suoi il Guardasigilli, «quanto sia indispensabile costruire una coalizione larga di centrosinistra. Per riuscirci serve un candidato premier in grado di unire, cosa che Renzi finora non ha dimostrato di saper fare».
La linea di Franceschini è più cauta. Il ministro della Cultura non vuole «rese dei conti interne», così usa toni felpati: «Non è il momento di aprire il tema della leadership del Pd. Alla luce dei risultati siciliani e di Ostia e della legge elettorale a un turno che prevede le coalizioni, è però indispensabile una riflessione sulle alleanze. Noto con favore che Renzi ormai distingue il suo ruolo di segretario del Pd, da quello di candidato premier che si decide insieme agli alleati. Questo è molto importante». Segue una sorta di appello a Pierluigi Bersani: «Il punto è che a resistere è Mdp, la palla adesso sta nel loro campo...». Come dire, Bersani batta un colpo.
TATTICA & MALDIPANCIA
Cosa non facile. Pure i fuoriusciti del Pd non hanno brillato nelle urne e i toni invece di diventare concilianti si fanno più aspri, anche a causa dell'attacco del renziano Davide Faraone contro il presidente del Senato, Piero Grasso, probabile leader della nuova Cosa in costruzione a sinistra.
La speranza di Orlando e Franceschini è che la tensione si stemperi. E che a giorni Bersani, scontentando quelli (a partire da D'Alema) che non ne vogliono sapere di un'intesa con il Pd, proponga come pre-condizione dell'alleanza un patto programmatico e un nome alternativo a quello di Renzi. «Uno capace di unire, un federatore». E il nome più gettonato è quello di Paolo Gentiloni, già proposto da Giuliano Pisapia e da Emma Bonino, i leader di liste potenzialmente alleate del Pd.
Un'opzione che al momento Renzi rifiuta senza se e senza ma. Anche per questo il premier fa sapere di non prendere neppure in considerazione l'idea di diventare il leader del centrosinistra.
LA LINEA DEL PREMIER
Il tema però c'è. Per averne conferma basta sentire Michele Anzaldi, amico di antica data sia di Renzi che di Gentiloni: «La situazione è in movimento, tra poche ore parlerà Veltroni e chissà, pure Prodi... Non è del tutto da escludere che alla fine Renzi, come fece nel dicembre scorso quando lasciò palazzo Chigi, scelga di nuovo Paolo per succedergli alla guida della coalizione. Ma sono pronto a mettere la mano sul fuoco che Gentiloni accetterebbe solo e soltanto se fosse Matteo a proporglielo, non farebbe mai qualcosa contro di lui». Analisi condivisa da un altro esponente dem, amico comune di entrambi, che chiede l'anonimato: «Premesso che non credo affatto che Renzi possa fare un passo indietro, c'è solo da dire che Gentiloni non parteciperebbe mai a una congiura di palazzo. E' leale. Basta ricordare che restò a fianco di Veltroni fino all'ultimo, anche quando Walter era stato abbandonato da tutti». Conclusione: «Paolo si muoverà esclusivamente se fosse Renzi a chiederglielo. Cosa del tutto improbabile».
I tempi, insomma, non sono maturi. Ma al pressing di Orlando e Franceschini e di altri leader storici si unisce quello di Pisapia. «Non smaniamo di correre alla corte di Renzi che ha collezionato una serie di sconfitte. Ormai chi lo tocca muore. Ma se ci fosse in campo uno come Gentiloni sarebbe tutto un altro film», dice uno stretto collaboratore dell'ex sindaco di Milano che spera di unire sotto un unico simbolo anche Radicali e Verdi. Ipotesi da escludere se Pisapia alla fine abbraccerà Mdp sotto la guida di Grasso.
Ciò che è certo, è che nessuno pensa di scippare a Renzi la segreteria. Perché ha vinto le primarie. E perché in Direzione e nell'Assemblea nazionale è ultra blindato. Tant'è che perfino Orlando - rispondendo al grillino Luigi Di Maio che nell'annullare il match tv di oggi con Renzi si è giustificato dicendo, «non è più lui il mio competitor, presto verrà rimpiazzato» - difende il segretario: «A Di Maio sfugge un particolare, noi scegliamo il leader con metodo democratico». Ma una cosa è il Pd, un altra il fantomatico (per ora) centrosinistra. Così poco dopo Orlando twitta: «Renzi è stato eletto segretario, non imperatore».