Giuseppe Santoro Passarelli è uno dei massimi esperti italiani di diritto del lavoro. Da quando fa il Garante degli scioperi nei servizi pubblici, un anno e mezzo, vive in prima linea il dramma dei venerdì neri delle città italiane. Con incredibile regolarità, prima dei week end, una o due volte al mese e specie a Roma, scattano scioperi dei trasporti indetti da micro-sigle sindacali che bloccano milioni di cittadini inermi. Domani è venerdì e puntualmente è sciopero. Questa volta di 24 ore indetto da tre sigle con poche centinaia di iscritti.
Presidente come arriverà al lavoro domani?
«Col motorino, non potendo usare gli autobus pur essendo abbonato da anni all'Azienda dei Trasporti di Roma».
Sa che lo sciopero di domani è contro privatizzazioni che nessuno sta facendo ed è stato indetto dalle stesse sigle che un anno fa proclamarono un analogo blocco contro l'inesistente invasione militare italiana della Libia?
«E' mio compito conoscerle ma non posso entrare nel merito».
E' un'agitazione senza obiettivi concreti. A Roma è la diciassettesima in 10 mesi, agosto compreso, e capita di venerdì come quasi tutte le precedenti. Questo mix fra farsa e tragedia è da paese europeo?
«Questo sciopero è stato indetto per 4 volte. La prima volta è stato fatto rinviare dalle autorità. Le altre due è stato ridotto a 4 ore».
Ma domani?
«Ho incontrato governo e prefetto per valutare la situazione, e di comune accordo abbiamo deciso di consentirlo. Altrimenti quei sindacati, in caso di precettazione, avrebbero potuto rivolgersi al Tar. La legge attuale riserva il potere di precettazione al governo e ai prefetti, non all'Autorità».
Ma allora lei come fa a tutelare il diritto alla mobilità?
«Sono costretto a fare il professore e fissare un paletto: per legge, la missione della Commissione non è quella di eliminare gli scioperi ma di contemperare il diritto di sciopero con quello del diritto al trasporto».
I venerdì neri a ripetizione violano de facto i diritti di milioni di cittadini che magari pagano pure 2/300 euro l'anno d'abbonamento. O no?
«Noi combattiamo raggiri più o meno fraudolenti della legge. E infatti intendiamo contenere il fenomeno dei microscioperi allungando l'intervallo fra un'agitazione e l'altra».
Si spieghi meglio.
«Oggi la legge consente ai sindacati di indire le proteste ad intervalli di 10 giorni. Ma per legge in mancanza di accordi fra le parti il Garante, con una regolamentazione che stiamo mettendo a punto facendo estrema attenzione a tutte le osservazioni delle parti sociali, può allungare i giorni di tregua».
Quindi se da 10 si passasse a 20 giorni di tregua gli scioperi verrebbero dimezzati...
«Posso confermare che gli scioperi si ridurranno senz'altro».
Conferma che i venerdì neri dei trasporti diminuiranno perché per periodi più lunghi degli attuali i sindacati non potranno indire scioperi?
«Questo è il nostro obiettivo. Che intendiamo raggiungere nel massimo rispetto delle parti sociali perché non possiamo né vogliamo eliminare il diritto di sciopero. I sindacati sono già avvertiti. Per legge, e per convinzione, dobbiamo ascoltare tutte le parti coinvolte».
E da quando entreremo nell'era della tregua lunga per bus e metro?
«Realisticamente le disposizioni saranno pronte fra gennaio e febbraio 2018 e solo allora daremo tutti i dettagli del regolamento».
Altre novità in cottura?
«Una riguarda le aziende. Perché i guai del trasporto pubblico dipendono anche, in alcuni casi, da passate gestioni disastrose. Chiederemo loro di varare procedure di raffreddamento anche per scioperi indetti da sigle non firmatarie di contratti. Serve più dialogo, insomma».
E poi?
«Le aziende dovranno informare la gente con dovizia di dettagli, a partire dall'esistenza delle fasce orarie di funzionamento garantito dei servizi, sugli scioperi in arrivo».
Ma i regolamenti funzionano?
«Con una regolamentazione abbiamo obbligato l'Atac di Roma a far ripartire subito il servizio alla fine di ogni agitazione. Prima a Roma gli scioperi di 4 ore ne duravano 5. E continueremo a monitorare attentamente la delicatissima situazione di Roma a tutela del rispetto dovuto a milioni di persone e alla Capitale».
Le sembrano sufficienti misure regolamentari?
«No. Parliamoci chiaro: le leggi che regolamentano gli scioperi nei servizi risalgono al 1990 e al 2000. Dopo 17 anni è logico che serva una manutenzione. Ma questo compito spetta al Parlamento, non al Garante. E' il Parlamento che su questo tema è rimasto immobile».
Ma la Commissione può segnalare le falle della legge.
«Lo facciamo. La situazione è sotto gli occhi di tutti. E' difficilissimo varare una legge che, senza ledere il diritto di sciopero che è sacrosanto, vieti agitazioni quando magari sono veramente sentite dai lavoratori e indette da sindacati che li rappresentano in modo significativo. Così come è evidente l'alto numero delle organizzazioni sindacali in Italia. Il Parlamento agisca».
E' pronta in Senato la proposta di obbligare autisti e macchinisti a far conoscere alle aziende la propria adesione ad uno sciopero 48 ore prima dell'agitazione. In questo modo i microscioperi avrebbero effetti leggeri. Che ne pensa?
«Se il Parlamento approva questa legge noi faremo la nostra parte».
A proposito di vostra parte. Potete multare i sindacati e le aziende, anche individuali come i tassisti, che attuano o provocano scioperi selvaggi. Risultati?
«Abbiamo appena fatto 20.000 euro di multa ai sindacati, anche confederali, dopo lo sciopero selvaggio del primo agosto negli aeroporti di Milano».
E per i tassisti che dovrebbero rispettare i servizi minimi anche in caso di sciopero?
«A febbraio hanno bloccato il servizio in 5 città per una settimana circa. Abbiamo chiesto ai sindaci di darci i nomi di quei tassisti che si erano rifiutati di trasportare malati o donne incinta o che comunque avevano violato le norme. Nessuna risposta. Morale: il rispetto dei diritti degli utenti è un tema che deve riguardare tutto il sistema non solo il Garante».
In Parlamento la riforma non decolla sul binario morto le proposte di legge
ROMA Indignazione a bizzeffe, ma poi di fatto il nulla. A ogni sciopero dei trasporti paralizzante per le città, con enormi disagi per cittadini inermi, in questi ultimi anni politici e governanti hanno fatto a gara a condannare la prepotenza delle piccole sigle sindacali che riescono a tenere in ostaggio intere metropoli. Con un coro unanime: la legge del 1990 di regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in particolare nei trasporti, è ormai obsoleta. Urge una riforma con norme più stringenti.
Il ministro dei Trasporti Graziano Delrio l'ha detto in varie occasioni: «Non si possono lasciare a piedi centinaia di migliaia di persone perché è grave che una minoranza poco numerosa condizioni la vita di intere collettività. Dobbiamo darci nuove regole». E così il premier Gentiloni: «Basta con questa maledizione del venerdì nero dei trasporti».
Ma la riforma non è mai arrivata. Anzi, peggio. Di fatto non è partita nemmeno la discussione a livello legislativo. I governi non hanno chiesto né voluto deleghe in materia, rinviando al Parlamento l'onere della nuova regolamentazione. E il Parlamento a sua volta ha fatto orecchie da mercante. I disegni di legge presentati sull'argomento - che pure ci sono e hanno firme autorevoli, come quelle di ex ministri del Lavoro e insigni giuslavoristi (tre proposte al Senato e una alla Camera) - giacciono sugli scaffali delle varie commissioni. E lì rimangono, fermi e impolverati. Perché la questione scotta: lo sciopero è un diritto costituzionale, si può limitare - è ovvio - se lede altri diritti costituzionali come quello altrettanto sacrosanto della mobilità, ma l'equilibrio è delicato. Ancor di più per un governo e una maggioranza parlamentare di sinistra, che dovrebbero avere nel proprio dna la difesa delle conquiste dei lavoratori.
LA RAPPRESENTANZA
Il principale vulnus della vecchia legge riguarda la rappresentanza. Non ci sono regole. Anche un piccolo sindacato che raccoglie meno del 10% di iscritti può dichiarare sciopero. E con vari escamotage bloccare l'intera azienda, o quasi. Le proposte presentate intervengono tutte sul punto, prevedendo che può proclamare sciopero chi rappresenta più del 50% dei lavoratori dell'azienda, mentre gli altri devono passare per un voto referendario. Non manca chi propone maggiori poteri al Garante, con un ruolo anche di mediatore e non solo di notaio.
Ovviamente più ci si avvicina alle tornate elettorali, più l'argomento diventa incandescente. E nessuno ha voglia di bruciarsi le mani. Cosicché la polvere sulle proposte di legge si accumula. La possibilità che venga spazzata via e che l'iter dei provvedimenti finalmente inizi, è pari a zero. Delle due l'una: rassegnarsi al fatto che se ne occupi - chissà come e quando - la prossima legislatura; tentare un colpo di coda. Maurizio Sacconi - ex ministro del Welfare, presidente della commissione Lavoro del Senato, relatore del provvedimento che unifica le tre proposte di legge sull'argomento depositate a Palazzo Madama - è consapevole che ormai il treno non partirà più, e quindi ha scelto la seconda opzione, quella del colpo di coda. Ha così messo a punto due emendamenti alla legge di Bilancio che affrontano nodi cruciali del diritto di sciopero nei trasporti: l'obbligatorietà della comunicazione anticipata della revoca dello sciopero da parte delle sigle sindacali (per contrastare il cosiddetto effetto-annuncio che spesso provoca enormi danni alle aziende); l'obbligo della comunicazione preventiva (7 giorni prima) dell'adesione allo sciopero da parte del singolo lavoratore. «In questo modo - spiega Sacconi - le aziende sono in grado di dare piena informazione agli utenti sugli effetti degli scioperi, possono programmare le corse e le tratte annullate. Il tutto incide sulle entrate tariffarie e quindi ha attinenza con la legge di bilancio». Insomma, è l'ultimo disperato tentativo di inserire le norme in un percorso certo (quello della manovra, appunto) per dare almeno un'aggiustatina agli aspetti più distorsivi dell'attuale regolamentazione.