ROMA Tutti i piloti e le hostess, una parte del settore della manutenzione, le rotte domestiche ed europee, una parte degli amministrativi, una flotta di 90-100 aerei. Fuori dal perimetro aziendale l'handling, le rotte non economiche e i velivoli che consumano troppo. Per fare di Alitalia una compagnia solida, efficiente e con un futuro industriale definito. Il piano messo a punto dall'ad di Lufthansa Carsten Spohr e dal gruppo di lavoro creato ad hoc è nelle mani dei commissari guidati da Luigi Gubitosi. Cifre, grafici, strategie che delineano il percorso che i tedeschi immaginano per l'ex vettore tricolore. Un piano che vuole dare un futuro ad Alitalia, non svuotarla, nè trasformarla in un piccolo vettore marginale. Una compagnia che riprenderebbe il suo percorso con non più di 6.000 dipendenti, capace di integrarsi e completare lo scacchiere internazionale del colosso tedesco. Dal quartier generale di Colonia si punta a valorizzare il settore della manutenzione, considerato di alto livello, così come è apprezzata la professionalità e competenza degli equipaggi.
I SOLDI
Sul piatto Spohr, secondo quanto risulta al Messaggero, è disposto a mettere circa 250 milioni, ma non è escluso che si possa anche raddoppiare in funzione degli accordi che potranno essere raggiunti con il governo e i fornitori. E che il lavoro, giudicato prezioso dei commissari, continui a ridurre i costi e ad aumentare la redditività. Come accaduto del resto sul fronte dei contratti per il carburante (tutti rivisti al ribasso), del leasing e dell'efficientamento della flotta. Risparmi per oltre 140 milioni che hanno dimostrato la capacità di Gubitosi & Co nella gestione operativa e, di converso, la scarsa attenzione di quella targata Etihad. Risparmi che Lufthansa potrebbe ulteriormente incrementare, giurano a Colonia, attraverso le sinergie di gruppo.
LE CIFRE
Il piano Lufthansa esclude l'handling (circa 3.100 dipendenti), che, come noto, è entrato nel mirino di altri operatori che si sono fatti avanti con proposte concrete. Al netto dei servizi di terra, il sacrificio sul fronte occupazionale non dovrebbe superare le 2.000 unità.
GLI OCCUPATI
Un numero elevato ovviamente, ma dal quale potrebbe partire la trattativa vera e propria con governo e sindacati. Sullo sfondo la proposta di Cerberus - pronto a rilevare tutti gli asset - non convince l'esecutivo e una parte dei commissari. Si sa infatti che il Fondo Usa mira ad acquisire l'intero pacchetto per poi rivenderlo a pezzi, senza dare nessuna garanzia occupazionale futura. La proposta tedesca, anche se migliorabile agli occhi del governo, appare quella più seria e credibile, almeno sotto il profilo strettamente industriale. Perché gli americani, tra l'altro, dovrebbero superare il vincolo del passaporto, non potendo acquistare la maggioranza della società italiana in quanto extra comunitari.
Come ai tempi della contesa con Air France, i tedeschi farebbero di Fiumicino il loro quinto hub, mentre Milano, ovvero gli scali di Linate e Malpensa, sarebbero valorizzati per i voli point to point e il federaggio verso gli hub. Il piano di Spohr, che ha avviato contatti diretti con i commissari, dovrebbe ricalcare il percorso della svizzera Swiss, riportata in vita dopo il fallimento di Swissair, ma con una strategia differente tra Nord e Centro-Sud Italia. Fiumicino, come accennato, sarà invece il cuore operativo per le destinazioni transatlantiche verso Stati Uniti e centro e sud America. Previsto anche uno sviluppo delle rotte in Italia. Degli attuali 123 velivoli dovrebbero restarne operativi circa 90-100. Il punto chiave, come hanno detto i commissari e il governo, resta quello occupazionale. Meno tagli ci saranno e più il piano potrà decollare. I tedeschi sono comunque pronti, anche se non è scritto nel piano, a reinvestire in maniera massiccia su Alitalia dopo aver avviato la cura dimagrante. Di certo eviteranno di fare promesse che poi non si possono mantenere. Il modello da seguire è quello di Swiss Air che, dopo il fallimento e una cura lacrime e sangue, ha ripreso ad assumere e a crescere sul mercato, macinando utili.
Tagli, aerei a terra e poi il risanamento il modello già sperimentato con Swissair
ROMA E poi arrivò il giorno della vergogna: il pomeriggio del 2 ottobre 2001, gli apparecchi della Swissair rimasero immobili sulle piste: non avevano una goccia di carburante nei serbatoi. Vuoti come le casse della compagnia che aveva accumulato 17 miliardi di debiti. Quella che era stata soprannominata «la banca elvetica dei cieli» non aveva più nemmeno i soldi per pagare le tasse aeroportuali. Il grounding che lasciò a terra 39 mila passeggeri, infuriati negli aeroporti, fu solo l'atto finale di un'agonia durata mesi, anni. Le immagini degli apparecchi con la croce svizzera inchiodati al suolo fecero il giro del mondo gettando il discreto sulla reputazione immacolata del Paese: la compagnia era in ginocchio ed in particolare il catering e il Duty Free, erano ormai poco più di un relitto. E così il governo di Berna, che non era voluto intervenire confidando nel motto Too big to fail, fu costretto a prendere atto che, ebbene sì, si può fallire anche se si è molto grandi. Casomai ci si fa più male. Il Consiglio federale varò un credito d'urgenza di 450 milioni di franchi e permise così alla compagnia di avere a disposizione i mezzi finanziari per assicurare di nuovo i voli. Ma l'ora della ristrutturazione era suonata. La compagnia fu fusa con il vettore regionale Crossair e il 31 marzo 2002 riprese le attività con il nome Swiss. La Confederazione e le banche iniettarono più di tre miliardi nella complessa costruzione della nuova società. E 1,7 miliardi erano soldi dei contribuenti. La Swiss non spiccò mai veramente il volo.
LE TURBOLENZE
Le turbolenze, soprattutto dopo il dramma dell'11 Settembre, erano troppo grandi e il contesto economico piuttosto incerto. Così nel 2005 la compagnia, che ormai valeva appena 340 milioni di franchi svizzeri, fu acquistata dalla tedesca Lufthansa. All'inizio si trattò di rilevare il 15% delle azioni di Swiss pagando 70 milioni di franchi. Due anni dopo fu completata l'operazione. Lufthansa versò agli ex azionisti di riferimento (che erano 18) circa 269 milioni di franchi. I grandi azionisti di Swiss erano, oltre al governo centrale, che deteneva il 20%, UBS, Credit Suisse e il canton Zurigo col il 10% a testa. Furono liquidati anche Nestlé, Roche, Swisscom, Novartis, Swiss Re, ZFS e Swiss Life che avevano partecipato con 100 milioni a testa al salvataggio della compagnia. Le mani tedesche tirarono su per i capelli la compagnia. Nel 2007, dopo 6 anni di esercizi negativi, Swiss (12 milioni di passeggeri, un terzo in più rispetto a tre anni prima, 72 aerei per 70 destinazioni e un aumento del 10% dei dipendenti) chiuse i conti con un utile operativo di 571 milioni, tanto da contribuire per un quarto al buon risultato di Lufthansa. La quale, un anno dopo, rilevò il pacchetto azionario di un'altra compagnia in crisi, Austrian Airlines, al prezzo di 366 milioni di euro. Il segreto per il rilancio, con concordato con il governo di Vienna che deteneva il 42% della proprietà, fu quello di conservare l'anima austriaca della compagnia continuando ad operare con brand, equipaggi e flotta propri. Ma, in questo caso, la strategia fu più semplice, considerato che Austrian era in difficoltà, ma aveva accumulato un debito più contenuto rispetto al caso svizzero: 900 milioni di euro.