ROMA La seconda e la terza carica dello Stato si schierano contro Renzi. Dopo il presidente del Senato Pietro Grasso, entrato in collisione alla vigilia del voto in Sicilia, ecco la presidente della Camera Laura Boldrini che chiude la porta.
VETI E PALETTI Parole dal tono definitivo, tanto più forti perché pronunciate nel luogo che la sinistra considera privo di recinzioni: il Campo progressista chiamato a raccolta ieri mattina da Giuliano Pisapia all'Antonianum di viale Manzoni. In contemporanea, Walter Veltroni, ospite di Lucia Annunziata, su RaiTre, lancia un appello in senso opposto contro le «divisioni irresponsabili della sinistra» che «aprono un'autostrada alla destra». Evoca «un effetto anni 30» e al tempo stesso si rivolge a Renzi invitandolo ad un segno di apertura: «Incontri Grasso e le altre forze di sinistra, dica che la legislatura si conclude con lo Ius soli e con il biotestamento. Deve cercare di includere, insomma, ma certo poi mi colpisce l'acrimonia verso Renzi dall'esterno».
Ecco allora che mettere da parte rivalità ed aspirazioni personali è il refrain della convention di Pisapia. Stranamente però l'applauso più caloroso è riservato alla Boldrini quando dice che «sarebbe imperativo stare insieme ma non basta fare un'alleanza purchessia, mettere i simboli uno accanto all'altro». È una chiusura netta all'abbraccio con Renzi, che le vale una telefonata di apprezzamento di Grasso. Prima di lei, l'ex sindaco di Milano aveva criticato la legge elettorale, la scelta di cancellare preferenze e voto disgiunto, l'accusa di essere «ondivago», chiarito che la sua scelta di scendere in campo non è «un atto eroico ma resistenza». E giù l'applauso, come per riflesso condizionato.
Avrà il suo da fare Pisapia per mettere insieme in uno spazio comune le varie sigle che affollano la sua zona franca. «Gli amici del Pd è il messaggio di Pisapia - devono smettere di guardare a destra, senza unità non si vince ma senza discontinuità è il tutto il Paese che perde». «Non vogliamo un'altra Sicilia», avverte, «non possiamo non fare di tutto per unire, nella discontinuità, per unire il centrosinistra. Qualcuno dice che è missione impossibile? No, sino all'ultimo giorno, dobbiamo provare».
In platea c'è il centrosinistra work in progress. Una nebulosa: gli ex grillini Orellana, Bencini e Zaccagnini (ora Mpd), il fedelissimo Bruno Tabacci, (che invoca l'intervento di Prodi) la verde Monica Frassoni, gli ex ministri Cesare Damiano e Giulio Santagata, prodiano doc. E ancora: il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio ma anche i sindaci di Udine, Honsell, e di Cagliari, Zedda. Si chiama fuori Nicola Fratoianni, per il quale «Pisapia continua a insistere sul centrosinistra, una formula che non esiste più». Il progetto nella sua versione extra large include anche Emma Bonino e gli europeisti. Oggi è previsto un incontro tra il segretario dei Radicali italiani Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova per fare il punto.
Gianni Cuperlo, leader di sinistra dem, si è detto disposto a raccogliere l'appello di Pisapia, con una vena di pessimismo ha citato la Ginestra di Leopardi per riaffermare il concetto che «se gli avversari incalzano nessuna logica ti può portare a scatenare la lotta nel tuo campo». Speranza però chiude subito, sottoscrivendo le parole di Boldrini: «Serve alternativa a Grillo, Salvini, Berlusconi e Renzi».
Renzi, segnali a sinistra su migranti e lavoro
ROMA Oggi Emma Bonino, i radicali di Magi e Forza Europa di Della Vedova. Presto, molto presto, Pisapia e il suo Campo Progressista. A seguire, se lo vorranno, anche Mdp con Bersani e Speranza. Per la costruzione di un'alleanza «larga molto larga», Matteo Renzi è pronto a impegnare le prossime due settimane con incontri e approfondimenti. Archiviare il principio dell'autosufficienza e del 40%. Aprire sul programma, senza rinnegare le cose fatte, ma dimostrandosi pronti ad implementare e correggere eventuali errori anche sul jobs act, come sulla politica immigratoria. Difesa del lavoro svolto da Poletti come da Minniti e, soprattutto da Gentiloni, senza abiure o mea culpa, ma pronto a discutere come proseguire correggendo, laddove necessario.
LA COSA ROSSA Su questa linea - che nega la discontinuità, ma apre al confronto - oggi pomeriggio Matteo Renzi aprirà la direzione del Pd parlando di come la sinistra ha portato il Paese «fuori dalla crisi». La prima direzione dopo la disfatta della sinistra in Sicilia, e forse l'ultima per cercare di riagganciare un pezzo di sinistra ora parcheggiata tra Pisapia e Cosa Rossa. Una sconfitta, quella siciliana, che non ha riguardato solo il Pd, ma anche quell'area alternativa, raccolta intorno a Fava, che solo qualche settimana prima sventolava compiacenti sondaggi da ballottaggio e che invece ha raccolto lo stesso 5% del 2012. Ora che la «tragedia», per dirla con Romano Prodi, si è compiuta e che c'è il rischio che anche le elezioni politiche diventino un affare tra grillini e centrodestra, c'è chi prova a rimettere insieme se non una coalizione, almeno una sorta di civile convivenza che eviti di avvantaggiare nei collegi berlusconiani e grillini.
E che al Nazareno c'è voglia di ribadire il metodo inclusivo rilanciato all'assemblea di Napoli - senza mettere in discussione la leadership che rimane saldamente in capo a Renzi - lo dimostrano le parole di Lorenzo Guerini in risposta alla richiesta del verde Angelo Bonelli di un «confronto programmatico». La disponibilità del coordinatore della segreteria Pd è la stessa che Renzi intende offrire a tutti coloro che condividono che i nemici comuni sono Berlusconi, Salvini, Grillo e non il segretario del Pd. Un distinguo che Roberto Speranza non compie - malgrado sia stato capogruppo del Pd durante i governi Monti e Letta che avevano in maggioranza proprio FI - e che alimenta lo scetticismo di Renzi, ma non la sua volontà di presentare un Pd unito e pronto a ragionare di contenuti.
Ieri Renzi ha fatto un nuovo giro di telefonate con i big del Nazareno. Ha condiviso le parole di Walter Veltroni, ma anche la volontà di Franceschini, Orlando ed Emiliano di presentarsi uniti, inclusivi, senza però accettare il concetto della discontinuità che vorrebbero gli scissionisti. In prima fila oggi ci sarà Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio che più incarna la continuità nell'azione di governo con il precedente esecutivo. Rinnegare ciò che è stato fatto negli quattro anni di governo, accettando il principio della discontinuità, è «inaccettabile» per Gentiloni come per i due ministri Orlando e Franceschini che ancora fanno parte del governo.
LE CIFRE L'obiettivo è cogliere i «segnali positivi» che Franceschini ha individuato dopo l'assemblea di capo Progressista di ieri e che si focalizzano sulla volontà espressa da Pisapia di non voler ripetere l'esperienza siciliana. Messaggio indigesto per Nicola Fratoianni (SI), per quella parte di Mdp che dopo la discesa di campo di Grasso, immagina percentuali a due cifre, e per coloro che, come la coppia Falcone Montanari, sono pronti a scindersi sulle scissioni sperando, forse, in un seggio.
Nel grande frullatore di tutto ciò che c'è a sinistra del Pd, e che a suo tempo affossò un paio di governi Prodi, Renzi non intende entrare. Oltre ad una disponibilità a discutere di contenuti, offrirà loro nuovamente la promessa di portare in aula Ius soli e biotestamento. Metterà un po' in sordina i vitalizi, che piacciono solo a Matteo Richetti e ai grillini. Dopodichè, si sostiene al Nazareno, «chi vorrà rompere dovrà farlo contro il Pd e non grazie al Pd».
«Fare di tutto per unire», scrive su twitter la prodiana Sandra Zampa. Un auspicio con poche certezze. Almeno per ora.