L'ultima volta che qualcuno si è preso la briga di far accomodare gli «inidonei» di Atac dal dottore, venne fuori una storia che non sfigurerebbe nel campionario dei prodigi di Lourdes. Un miracolo italiano, anzi romano: l'80% dei dipendenti che prima della visita, per anni, aveva lamentato problemi di salute talmente seri e preoccupanti da schivare i faticosi turni al volante di un bus o nella cabina di guida di un treno, improvvisamente, si scopriva completamente riabilitato. È bastato un controllo medico per far sparire disturbi vecchi di anni. Strane guarigioni che risalgono a un anno e mezzo fa e che ora, mentre la più grande partecipata dei trasporti d'Italia è alle prese con un difficile concordato in bianco, potrebbero ripetersi, su più larga scala.
La nuova governance dell'azienda, che in questi giorni sta mettendo nero su bianco il piano industriale per scrostare via da Atac privilegi e sprechi stratificati nel corso di decenni, ha un obiettivo chiaro, anche se di non facilissima attuazione. Rendere tutto il personale efficiente e produttivo. È l'unico modo per risanare il debito da 1,3 miliardi di euro senza passare da esuberi e licenziamenti. Sarà ordinata una visita medica per tutti i 175 lavoratori che ancora oggi si dichiarano «inidonei», per assegnare loro mansioni operative, utili ai servizi. Come è stato spiegato ai sindacati nelle riunioni di questi ultimi giorni, Atac ha bisogno sì di mezzi nuovi (il piano prevede l'acquisto di 800 bus), ma anche del rendimento pieno dei suoi 12mila dipendenti. Non possono più esserci sacche improduttive.
STOP AGLI SCONTI Ecco perché ad autisti e macchinisti è stato chiesto di lavorare come nel resto d'Italia. Quindi 39 ore la settimana, come prevede il contratto nazionale della categoria, e non 37 ore, come avviene oggi grazie a un generoso accordo interno. Sembrano considerazioni di buonsenso, ma le mini-sigle di Atac sono già passate all'attacco, con scioperi in sequenza e disservizi assicurati. Perché a Roma non si può lavorare come nelle altre città dello Stivale? Qui vanno considerate le «problematiche relative al traffico», si legge in bizzarri volantini diffusi dai piccoli, ma battaglieri, sindacati interni. In questa partita, i confederali sono ancora nel limbo. Indecisi se accettare le condizioni del Campidoglio a guida M5S, col rischio di perdere tesserati, oppure sposare la linea delle barricate. Di fatto le trattative annaspano in una sequenza di sedute «aggiornate», l'impressione è quella dello stallo. Ma i tempi stringono; entro il 27 novembre va consegnata ai giudici del Tribunale fallimentare la versione definitiva del piano industriale.
La verità è che il lavoro preparatorio è ancora in alto mare e in Atac sta prendendo corpo l'idea di chiedere una proroga di 60 giorni. Per convincere magistrati e commissari potrebbe essere necessaria la firma dei sindacati, almeno delle sigle maggiori. Allora si cerca un compromesso. Alcuni sindacalisti vorrebbero un mega-bonus mensile da 300 euro per gli autisti, uno stratagemma che compenserebbe il taglio di alcune indennità pleonastiche, come il bonus per i turni lunghi, che i conducenti incassavano in aggiunta agli straordinari. La società del Campidoglio ragiona e prende tempo. La parola finale spetta ai giudici.