Quella storia di Rigopiano, quella tragedia immane, quel che avrebbe potuto fare e non aveva fatto, l'aveva tirata fuori in una conversazione con amici l'ultima volta mercoledì scorso, quando, probabilmente, dopo aver consegnato le sue dimissioni dalla multinazionale Total, dove era stato assunto quindici giorni prima, aveva già pianificato il suo suicidio. Per Guido Conti quello di Rigopiano era diventato un pensiero fisso, amplificato, forse, dal timore (che non sembra però trovare riscontri) che potesse essere coinvolto nell'inchiesta, che tra gli avvisi di garanzia su cui la Procura di Pescara sta lavorando, potesse essercene uno indirizzato anche a lui. Un'onta troppo grande per la sua esemplare figura di uomo e di militare e un peso, «un macigno» come lui stesso lo definisce, che gli «aveva cambiato la vita».
Dalle ipotesi di responsabilità si assolve lui stesso, nella lettera indirizzata alla sorella, come fanno d'altronde quelli, tra cui Augusto De Sanctis del Forum H2o, che conoscevano lui e le carte: Conti si era limitato a dare un parere con quattro prescrizioni sulla realizzazione del centro benessere e niente più. Ma il peso morale del «poter fare di più», del «poter scavare e prestare attenzione alle indagini per mettere intoppi - scrive Conti - o ostacolare in qualche modo quella pratica», non lo aveva mai abbandonato, fino a diventare argomento principale del suo addio alla sorella. Probabilmente non c'è solo Rigopiano alla base della sua decisione, ma anche un profilo psicologico indebolito «dalla perdita ripetuta di identità- racconta la sorella Silvia davanti alla bara esposta nella camera ardente al tribunale di Sulmona - lo scioglimento del corpo forestale prima, il pensionamento, l'addio alla divisa e il nuovo incarico alla Total poi, dove non si era trovato bene».
Sono aspetti, anche questi, che la Procura di Sulmona non trascura, perché Conti, a quanto aveva confessato a suoi conoscenti, in Basilicata non aveva trovato quello che si aspettava. Lui che era andato «per non pensare, per trovare altri stimoli, avventure, progetti» e per vincere una sfida, quella di «produrre e dare ricchezza diffusa e tutelare migliaia di posti di lavoro, di Italiani, rispettando le leggi- aveva scritto in una conversazione sui social-. Tutte. In primis quelle ambientali».
Perché la divisa per lui non era solo un abito, e uomo di Stato e di legge lo era anche e soprattutto dentro, per i suoi valori, il suo alto senso della legalità, la sua passione per la giustizia. Una levatura morale che tutti gli hanno sempre riconosciuto e che spiega l'affetto e lo sbigottimento dei tanti tra cittadini e istituzioni che ieri hanno portato il loro saluto al feretro. Oggi (ore 15, chiesa di Santa Maria della Tomba) il funerale, a cui parteciperanno i massimi vertici dell'Arma: dal generale di corpo d'armata Giovanni Nistri, al generale del comando unità per la tutela forestale Davide De Larentis. E al quale non mancherà l'amore della sua città.