Apperò Americo Di Benedetto, ci voleva lui per uscire da questo pantano di bulli, guitti, machiavellisti, celoduristi e celomorbidisti, di lacrime facili e convegni zerocontenuti. Da questa polemica montata ad arte e non ancora smontata, da questa pericolosa deriva che riaccende animi e campanili e distrae dai problemi veri. Il capoluogo di Regione, si parla di questo da Pescara all’Aquila mentre in mezzo c’è la Honeywell che chiude con 500 famiglie in mezzo a una strada e nessuno se ne frega, e così anche ieri il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi si è svegliato con un post su Facebook che ha fatto imbufalire tutta la città. Usa la lacrima facile, il primo cittadino, la usa con gli aquilani che hanno perso figli, genitori, mogli mariti e casa. Uno scivolone, una gaffe che gli regala comunque più di duemila like.
“Nessuno mi ha mai regalato niente, dai 20 anni in poi sono cresciuto senza il conforto di una madre, da ragazzo per avere qualche lira in tasca ho fatto lo spazzino e l’operaio, il manovale e il garzone di bottega. Ogni carica politica l’ho azzannata con i voti e il consenso della gente. Il 6 aprile 2009 ho respirato fino in fondo l’odore della polvere e la puzza di gas, ho dovuto riconoscere sorelle e fratelli caduti, ricacciare indietro le lacrime per sembrare più forte e confortare una comunità che rischiava di scomparire. Per sette mesi ho fatto la doccia in un container e ho dormito fino all’ultimo giorno in una tendopoli. Ho fatto guerra a governi di ogni colore e digiunato per reclamare soldi per la ricostruzione. Ho passato notti insonni, ho sofferto e pianto di nascosto. Perciò nessun ciarlatano mi venga a insegnare come si ama e si difende questa terra: lo so meglio di ognuno di voi, politicanti da strapazzo”.
No, non era questo il miglior modo. A distanza di poche ore gli risponde Americo Di Benedetto, il candidato sindaco di centrosinistra sconfitto da Biondi, che ne approfitta anche per togliersi qualche sassolino dalle scarpe nei confronti dei suoi alleati. Lui, quello che aveva sbagliato tutto, che preferiva le vetrine di Manzi ai bagni di folla, troppo snob poco popolare: gliene avevano dette di tutti i colori gli amici di partito.
“La nostra città (…i suoi cittadini) ha bisogno di rispetto e delicatezza, non di arroganza da posizione. Ha bisogno di rispetto, sì! Non per campanile, ma per cultura delle relazioni ed educazione storica generale. Non c’è la necessità di capi (non a caso al plurale) popolo. Un Sindaco parla della dura storia delle persone che rappresenta, non della sua legittima storia personale. Ascolta la storia delle persone che è chiamato a rappresentare, per l’appunto, che, con molta più sofferenza, avrebbero, queste sì, il diritto di narrare.
Ho timore, molto timore. Ho timore che si sia perso il senso delle cose. Il senso civico delle cose. Non amo i depositari della verità. Non li amo, in modo particolare, quando sono chiamati a decidere le sorti di tanti. Non solo le loro.
Continuerò sulla mia strada, come mio solito. Da questo momento, però, con un po’ più di fermezza. Di questa maggiore fermezza, credo, adesso, L’Aquila abbia bisogno. E io proverò a dargliela”.
La migliore risposta, la più bella, la più convincente: non si rivendicano tendopoli sofferenze e sacrifici rispetto agli aquilani che quelle esperienze le hanno condivise anche loro, continuerò sulla mia strada ma con più fermezza, dice Americo. Il messaggio è per chi ha esibito muscoli e urlato “dimissioni”, parole in libertà ma sostanza poca. Sì, ce l’ha proprio con Pierpaolo Pietrucci, il suo competitor delle primarie.
Apperò che bella stagione sarebbe per L’Aquila se ci fossero meno bulli in giro e qualche Americo in più.