PESCARA Negligenza, imperizia e imprudenza, a tutti i livelli istituzionali, hanno causato la morte delle 29 vittime dell'hotel Rigopiano. È quello che di fatto ripete la Procura nelle 32 pagine che compongono gli avvisi di garanzia notificati ieri mattina dai carabinieri forestali, dalla polizia e dai carabinieri ai 23 indagati dell'inchiesta sul disastro della valanga del 18 gennaio. Tutti sospettati, a vario titolo, di omicidio colposo e lesioni colpose, crollo colposo, abuso d'ufficio e falso ideologico, rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Questa volta (i primi 6 avvisi di aprile riguardavano Provincia e Comune) ci sono rappresentanti di tutti gli enti: ancora Provincia e Comune (ma nelle persone di tre sindaci, compreso Massimiliano Giancaterino, fratello di una delle vittime), poi Regione e Prefettura a cominciare dall'ex prefetto di Pescara - ex appena da pochi giorni - Francesco Provolo. E poi alcuni tecnici, l'imprenditore Paolo Del Rosso che chiese di realizzare il centro benessere del resort a gennaio 2007 in variante allo strumento urbanistico, ottenendo di farlo in un'area soggetta invece a vincolo paesaggistico e idrogeologico, e l'amministratore unico della società che ha gestito l'hotel Bruno Di Tommaso. Le indagini a tempo da record dei carabinieri forestali diretti da Annamaria Angelozzi e coordinate dal procuratore capo Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia si sono concentrate, grazie anche all'apporto di memorie difensive, su 5 filoni investigativi che dal giorno della tragedia sono andate a ritroso di vent'anni ricostruendo: 1) la mancata realizzazione della Carta di localizzazione del pericolo da valanga (Regione) che avrebbe evidenziato il sito valanghivo di Rigopiano; 2) la mancata realizzazione del nuovo Piano regolatore di Farindola (Comune) che al contrario avrebbe dovuto tener conto delle relazioni tecniche che individuavano il rischio valanghe per la zona prospiciente l'hotel; 3) la fallimentare gestione dell'emergenza neve (Comune e Provincia) ampiamente annunciata e segnalata in quei giorni di gennaio; 4) la realizzazione del resort in una zona di Conservazione integrale dove, secondo il piano regionale paesistico non era consentito costruire (Regione, Comune e imprenditore); 5) i ritardi con cui, solo il 18 gennaio secondo l'accusa, si è reso operativo il Centro coordinamento soccorsi nella sala operativa provinciale della protezione civile (Prefettura).LA PREFETTURA RITARDA«Soltanto all'esito della riunione in Prefettura del comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sull'emergenza maltempo che si svolgeva il 18 gennaio alle 10 il prefetto Provolo invitava gli operatori della Prefettura a scendere nella sala della protezione civile determinando, non prima delle 12, la reale operatività del Centro coordinamento soccorsi». Questo ricostruisce la Procura che poi ripesca la comunicazione con cui alle 9 di due giorni prima, il 16 gennaio, il capo gabinetto della Prefettura Leonardo Bianco comunica alla presidenza del Consiglio dei ministri, al ministero dell'Interno e, per conoscenza, alla Regione - ma non ai Comuni - di aver attivato la sala operativa provinciale di protezione civile e il centro di Coordinamento soccorsi. In ragione, scrive il funzionario, «della precipitazione nevosa in atto, particolarmente accentuata nell'entroterra della provincia». Una consapevolezza dell'emergenza che il giorno successivo, 17 gennaio, evidenzia lo stesso prefetto nella comunicazione alla presidenza del consiglio e al ministero dell'Interno: «Lo scrivente si è attivato per garantire la presenza operativa della prefettura e del Comitato operativo per la viabilità appositamente convocato nella mattinata del 16 gennaio», e ancora «questa Prefettura ha attivato la sala operativa provinciale di protezione civile e il Centro coordinamento soccorsi». Nei fatti, ribadisce la Procura, «la prefettura, nelle persone del prefetto Provolo, del capo di gabinetto Bianco e della coordinatrice della sala operativa di Protezione civile Ida De Cesaris attivava tardivamente, solo dopo le 12 del 18 gennaio il centro coordinamento soccorsi» e così «ometteva di svolgere tempestivamente il ruolo assegnato dalla legge di coordinamento nell'individuazione delle deficienze operative». Come l'inefficienza della turbina, a cui, scrive la Procura, la prefettura avrebbe potuto far fronte «disponendo la sua sostituzione con un automezzo di analoga o superiore capacità». Come poi avviene quando, ma è già troppo tardi per salvare le 29 vittime, in sede di Centro coordinamento soccorsi effettivamente attivato, il dirigente dell'Anas mette a disposizione la turbina che stazionava a Penne. E, ribadisce ancora la Procura, attivando il Ccs, la Prefettura avrebbe potuto anche «disporre il divieto di percorrenza e la conseguente evacuazione tempestiva dell'hotel». Invece «solo alle 18,28 del 18 gennaio il prefetto si attiva nel chiedere l'intervento di personale e attrezzature dell'Esercito per lo sgombero della neve nei paesi montani della provincia di Pescara e nel far richiedere, su sollecitazione della De Cesaris, tre turbine alla sala operativa della Regione». In definitiva i tre, indagati per omicidio colposo e lesioni colpose, secondo l'accusa «hanno determinato le condizioni per cui la strada provinciale dell'hotel Rigopiano fosse impercorribile per ingombro neve, rendendo impossibile a tutti i presenti nell'albergo di allontanarsi, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di quel 18 gennaio». TURBINA ED EMERGENZAAnche il presidente della Provincia Antonio Di Marco, il dirigente del settore Viabilità Paolo D'Incecco, il responsabile del servizio viabilità e referente di protezione civile Mauro Di Blasio, il comandante della polizia provinciale Giulio Honorati e il tecnico reperibile Tino Chiappino sono accusati di omicidio colposo e lesioni colpose. Secondo la Procura nessuno di loro, constatando l'inoperatività, dal 6 gennaio, della turbina che serviva il tratto tra Penne e Rigopiano, ha provveduto in tempo alla sostituzione con un mezzo analogo. E questo nonostante che il 15 gennaio ci fosse già stata un'allerta meteo diffusa dalla Regione («dal primo pomeriggio di domani 16 gennaio e per le successive 24-36 ore si prevede il persistere di nevicate») e nonostante che il sindaco di Farindola proprio in virtù di quell'allarme meteo, lo stesso 15 gennaio avesse sospeso con un'ordinanza le l'attività didattiche. Ma senza chiudere la strada dal bivio Mirri a Rigopiano, senza potersi assicurare la percorribilità per carenza mezzi a disposizione e per il pericolo valanghe per cui il sindaco di Farindola avrebbe dovuto dichiarare l'inagibilità dell'hotel e la sua evacuazione, il presidente della Provincia e gli altri avrebbero assicurato «la raggiungibilità dell'hotel ai potenziali clienti, determinando le condizioni per cui la strada provinciale dall'hotel al bivio Mirri fosse percorribile sino alle 17 del 17 gennaio e poi non più».IL CENTRO BENESSEREPer la realizzazione del centro benessere la Procura ha indagato l'allora contitolare dell'hotel Paolo Del Rosso, il tecnico del Comune di Farindola Paolo Colangeli e il direttore sezione Ambiente della Regione Antonio Sorgi per abuso d'ufficio e, falso ideologico. Ognuno nell'esercizio delle proprie funzioni «attestavano falsamente che il centro benessere e le strutture in legno» che Del Rosso chiedeva di realizzare, «fossero ammesse dal piano regionale paesistico», che invece ne escludeva la realizzabilità in quanto area in regime di «conservazione integrale».I 3 SINDACI DI FARINDOLARispondono di lesioni e omicidio colposo, e di crollo colposo Antonio De Vico, sindaco dal 1995 al 2004, e dal 2009 al 2014, oltre a presidente della commissione valanghe dal 1999 al 2004, Massimiliano Giancaterino, sindaco dal 2004 al 2009 e presidente della commissione valanghe nel 2005 in quanto, nonostante delibere e relazioni tecniche dal 1996 fino al ricevimento della carta storica delle valanghe che permetteva di avere chiara conoscenza delle valanghe censite a Rigopiano, omettevano di adottare un nuovo piano regolatore. Quanto a Ilario Lacchetta, assessore all'urbanistica dal 2013 e sindaco dal 2014 tuttora in carica, per la Procura ha omesso di disporre l'inagibilità e lo sgombero dell'hotel quando, dal 15 gennaio, sul profilo Fb del Comune annunciava l'apertura del centro operativo comunale per l'emergenza meteo. E avrebbe permesso che ulteriori clienti raggiungessero l'hotel il 17 gennaio nonostante che in un messaggio whatsapp inviato alle 10,53 del 17 gennaio il dirigente provinciale D'Incecco si raccomandasse che la circolazione «debba essere intesa solo per spostamenti indispensabili e di emergenza». I FUNZIONARI REGIONALISono indagati per crollo colposo Pierluigi Caputi, Carlo Givani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio: nonostante che incombesse su ciascuno di loro di attivarsi affinché venisse dato corso alla delibera di giunta del 2014 per la realizzazione della carta di localizzazione dei pericoli da valanga non si attivavano in alcun modo» (leggi articolo a destra). Ma su questo aspetto si concentreranno adesso le successive indagini degli investigatori che dovranno passare al vaglio il milione di mail sequestrate in Regione per capire su quale tavolo si è fermata la richiesta di fondi per realizzare la carta che avrebbe determinato, dice la Procura, «l'immediata sospensione di ogni utilizzo, in stagione invernale, dell'albergo dove sono morte le 29 persone, fino alla realizzazione di interventi di difesa antivalanghiva».
«Indagate su quei dirigenti regionali». Così a ottobre scrivono i legali Valentini, Tatozzi e Manieri
E spuntano i retroscena della carta delle valanghe fantasma
PESCARA«È dato ormai acquisito che la condotta ascrivibile ad organi della Regione Abruzzo consiste nell'omessa redazione della Clpv (carta localizzazione pericolo valanghe) prevista dalla Legge Regionale numero 47 del 1992, carta che -se realizzata- avrebbe concretamente impedito il disastro di Rigopiano». Comincia così la terza denuncia che gli avvocati Massimo Manieri, Cristiana Valentini e Goffredo Tatozzi, hanno presentato in procura a Pescara il 4 ottobre scorso. Questo atto, sottoscritto dai difensori del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, del tecnico, Enrico Colangeli, e del Comune di Farindola, dà una svolta alle indagini sulla tragedia di Rigopiano, spostando l'attenzione della procura verso il secondo livello, quello dei dirigenti regionali. «Mettendo insieme le prove documentali e le dichiarazioni», scrivono i tre legali, «si forma un'immagine chiara: era il 2013 quando, l'ingegner Pierluigi Caputi, in qualità di direttore del Dipartimento Lavori Pubblici, verifica che, negli anni, ben poco era stato fatto per realizzare la Clpv, sicché decide di attivare gli uffici competenti». Caputi nomina Sabatino Belmaggio responsabile per realizzare una prima porzione della Carta, definita ridotta, firma la proposta di delibera con cui si pubblica la Carta Storica («lasciata a giacere nella polvere», dirà poi il dirigente Giovani al pm) e dà mandato all'ingegner Carlo Giovani di realizzare la Clpv vera e propria. «Ma a questa improvvisa attivazione, che culmina con l'emanazione della delibera della giunta Chiodi 170/2014, segue il nulla», si legge nell'esposto.Il perché sembra risiedere nei danari occorrenti. Il dirigente Belmaggio, interrogato in procura, ha riferito che non spettava a lui chiederli, e che l'incaricato dalla giunta era il suo dirigente Giovani, e aggiunge che «la Clpv era irrealizzabile, occorrendo dai 7 agli 80 milioni di euro». Ma è lo stesso Belmaggio - affermano i tre legali - che, subito dopo Rigopiano, «ha chiesto e ottenuto dalla giunta attuale lo stanziamento di un milione e 300 mila euro, e nulla più, per procedere all'attesa redazione della intera carta regionale». Passiamo a Giovani che, durante la testimonianza in procura, dice di non ricordare se ha chiesto i soldi occorrenti per procedere ad eseguire l'ordine di giunta. E Caputi poi riferisce «di non rammentare richieste di fondi da parte di Giovani». Ma che comunque «la nuova Giunta era a conoscenza della necessità di stanziare i fondi previsti dalla delibera del marzo 2014». Solo nel 2017, dopo la tragedia, la giunta in carica approva la mini Clpv del primo bando 2013 e dà un nuovo mandato alla Prevenzione Rischi di realizzare la Carta regionale, con uno stanziamento di un milione e 300mila euro. A proporre la delibera è Belmaggio, in qualità di Dirigente del Servizio Prevenzione Rischi. La gara si è conclusa solo un mese fa. L'ha vinta il professor Roberto Nevini, dell'Università di Siena, con un ribasso record del 46 per cento.«Il perché, dal 2014 al 2017, non si siano più visti i fondi stanziati dalla giunta Chiodi nel 2014, è un interrogativo irrisolto», prosegue la denuncia: «I dirigenti preposti non li hanno chiesti, sapendo - par di capire - di non potere averli; ma Belmaggio - come riferito in chiari termini dal dirigente del Servizio Programmazione, Antonio Iovino - avrebbe dovuto attivarsi per chiedere ciò di cui il suo ufficio abbisognava per realizzare la Clpv. E a sua volta, anche Giovani avrebbe dovuto farlo sua sponte, in quanto incaricato di realizzare la Clpv regionale. Entrambi», affermano i tre avvocati, « avevano chiara cognizione dei rischi cui era sottoposto il territorio abruzzese in assenza della Carta, e il preciso dovere di eseguire il mandato della giunta del 2014». Infine Caputi, «che non rammenta di essere mai stato investito di simili richieste. Ma la necessità di modifica del bilancio», concludono i tre, «era comunque di doverosa conoscenza e ottemperanza da parte della successiva Giunta». Lasciando intendere un terzo livello di inchiesta.