E’ un lungo interminabile elenco di “avrebbero”, l’ordinanza della procura di Pescara che ha firmato altri 23 avvisi di garanzia per la tragedia di Rigopiano. Avrebbero dovuto fare tante cose che non hanno fatto la Regione, il Comune di Farindola, la Provincia di Pescara, la stessa Prefettura, cose che avrebbero salvato la vita alle 29 vittime della valanga. Inadempienze, negligenze, sciatterie, omissioni. La testa voltata dall’altra parte. Ancora più gravi perchè commesse da amministrazioni come la Provincia o anche peggio, dalla Prefettura.
Una incredibile coincidenza di omissioni e di menefreghismo che qualifica la classe dirigente abruzzese come inadeguata, incapace, inesistente.
L’albergo non doveva stare lì e non doveva rimanere aperto d’inverno, le strade dovevano essere sgomberate, il Centro dei soccorsi doveva essere attivato prima, molto prima, le turbine dovevano essere riparate, la Carta delle valanghe doveva essere approvata. Niente di tutto questo venne fatto.
Tra gli indagati tanti nomi illustri: il presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il sindaco di Farindola e molti autorevoli dirigenti regionali. E’ la svolta che ha impresso all’inchiesta avviata dal pm Cristina Tedeschini ora trasferita a Pesaro, il nuovo procuratore della repubblica di Pescara Massimiliano Serpi insieme al sostituto Andrea Papalia. Sembrava impossibile, a sentire la Tedeschini qualche mese fa: l’inchiesta è ferma qui, non si ravvisano altre responsabilità. No, non era così, proprio per niente.
I reati ipotizzati vanno dall’omicidio colposo plurimo al disastro colposo alle lesioni colpose plurime e all’omessa collocazione di cautele atte a prevenire gli infortuni sul lavoro. Ad altri come sindaco ed ex sindaco di Farindola anche il falso e l’abuso. Non è tra gli indagati l’ex generale dei Carabinieri Forestali Guido Conti, morto suicida venerdì scorso, che in una lettera aveva scritto di sentirsi in colpa per un parere emesso tanti anni fa sul centro benessere dell’hotel. Non c’entra nulla lui, quel parere non era vincolante.
Quell’albergo non doveva essere costruito e comunque non avrebbe potuto restare aperto d’inverno. E non solo: nonostante le allerta meteo, nessuno si è attivato per mettere in sicurezza gli ospiti dell’Hotel.
La Regione
Tanti i dirigenti regionali finiti sotto inchiesta: da Carlo Giovani a Vittorio Di Biase, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera, Sabatino Belmaggio perché, scrive la procura,
“nonostante incombesse su ciascuno dei suddetti funzionari di attivarsi affinché venisse dato corso quanto prima alla delibera per la realizzazione della carta di localizzazione dei pericoli di valanga riguardante tutto il territorio regionale, non si attivavano in alcun modo”, neppure stanziando i fondi nel bilancio regionale. La Carta, scrive la procura, avrebbe individuato in Rigopiano “un sito esposto a tale pericolo”.
I dirigenti sono quindi tutti accusati di condotte colpose per negligenza, imperizia e imprudenza e violazione di norme di legge. Dal 1992 una legge regionale, la n.47, aveva imposto che venisse redatta una carta di localizzazione del pericolo valanghe a cura del Servizio di Protezione civile, e altre delibere negli anni successivi avevano confermato questa necessità. Non lo fece nessuno. Ma la cosa più grave è che nessuno mise i soldi in bilancio. Solo il 6 febbraio 2017, venti giorni dopo la tragedia, ecco che oplà, escono fuori i soldi: il dirigente Sabatino Belmaggio trova 1.300.000 euro per completare la redazione della famosa Carta.
Per quanto riguarda il Comune di Farindola, il sindaco e i suoi predecessori hanno omesso di adottare un nuovo piano regolatore che avrebbe individuato “nella località di Rigopiano un sito esposto a forte pericolo di valanghe” e così hanno rilasciato i permessi per la costruzione dell’Hotel. Ma anche una volta costruito, il nuovo prg se fosse stato approvato, avrebbe consentito di emettere le prescrizioni idonee “a salvaguardare la pubblica e privata incolumità dal rischio valanga e l’immediata sospensione di ogni utilizzo, in stagione invernale, del suddetto albergo”. Di questo sono accusati gli ex sindaci Massimiliano Giancaterino, Antonio De Vico, il sindaco Ilario Lacchetta, Enrico Colangeli, Luciano Sbaraglia, questi ultimi rispettivamente tecnico e geologo.
Che ci fosse un forte pericolo di valanghe proprio lì, a Rigopiano, l’aveva detto la guida alpina Pasquale Iannetti nel 1999 ma nessuno ne tenne conto. Tanto che nel piano di emergenza comunale approvato nel 2008 non si fa cenno alcuno al rischio valanghe o al rischio neve-ghiaccio. Come se Rigopiano fosse in riva al mare. Non è un passaggio indifferente, questo, è anzi il passaggio decisivo che consente il rilascio dei permessi per la costruzione dell’hotel Rigopiano. E finiscono nel calderone anche Marco Del Rosso, imprenditore, Enrico Colangeli, tecnico del Comune e Antonio Sorgi, direttore del servizio Parchi e ambiente della Regione: quelle autorizzazioni non potevano essere rilasciate, e soprattutto Colangeli omise di rilevare, all’epoca, che l’area ricadeva nella classificazione di “conservazione integrale”.
La procura contesta poi al sindaco Lacchetta altre responsabilità: avrebbe potuto e dovuto sgomberare l’albergo, così come aveva firmato l’ordinanza di chiusura delle scuole, e avrebbe dovuto farlo sin dal 15 gennaio, quando annunciava su Facebook l’apertura del Coc per l’emergenza neve.
La Provincia di Pescara
Anche la Provincia di Pescara ha le sue responsabilità: tutti erano consapevoli che a gennaio scorso c’era una forte emergenza neve, tutti avevano letto le allerta meteo e persino il sindaco di Farindola aveva emanato un’ordinanza di chiusura delle scuole. Nonostante questo “nessuno degli amministratori e funzionari della Provincia adottava le condotte dovute” neppure per operare la doverosa ricognizione dei mezzi spazza-neve. Indagati quindi il presidente Di Marco, i dipendenti Paolo D’Incecco, Mauro Di Blasio, Tino Chiappino, il comandante della polizia provinciale Giulio Honorati. Anche loro hanno quindi avuto condotte colpose connotate da “negligenza, imperizia imprudenza” che hanno causato la morte di 29 persone e lesioni personali gravissime ad altre nove. In particolare, la procura sottolinea che D’Incecco nel piano di reperibilità del 2016-2017, contrariamente agli anni precedenti, non aveva scritto della possibilità del verificarsi di valanghe. Ma, fatto ancor più grave, la Provincia disponeva di una sola turbina che dal 6 gennaio era fuori uso, abbandonata in officina: nonostante le allerta meteo, rimase con le braccia conserte. Ecco cosa avrebbe dovuto fare, secondo la Procura: “attivare la fase di attenzione e di allarme; attivare la sala operativa di protezione civile, fare una ricognizione dei mezzi spazza neve, sostituire quello rotto, chiudere al traffico la provinciale numero 8, e il sindaco di Rigopiano avrebbe dovuto dichiarare l’inagibilità dell’hotel.”
La Prefettura
Infine, la prefettura. Indagati l’ex prefetto Provolo, la dirigente Ida De Cesaris e il capo di gabinetto Leonardo Bianco perché si attivarono in netto ritardo. Soltanto alle 10 di quel maledetto 18 gennaio Provolo invitò gli operatori della prefettura a scendere nella sala della protezione civile tanto che il centro di soccorsi si attivò soltanto a mezzogiorno. Nonostante ci fossero piani e leggi che avrebbero imposto una diversa condotta.
“Attivandosi il prefetto ormai troppo tardi – scrive la procura – solo alle 18.28 del 18 gennaio scorso nel chiedere l’intervento di personale e attrezzature dell’esercito italiano per lo sgombero della neve, rese impossibile a tutti gli ospiti dell’albergo e al personale di allontanarsi, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto”.
Era pienamente consapevole il prefetto Provolo delle condizioni meteo, scrive la procura. Tanto che firma diverse direttive e le invia al Consiglio dei ministri e per conoscenza “alla Regione Abruzzo e a nessun altro ente e tanto meno ai Comuni”. Proprio il 17, il giorno prima della tragedia, Provolo scrive al ministero dell’interno per assicurare di essersi attivato “per garantire la presenza operativa della prefettura e del comitato per la viabilità…”. Insomma, era pienamente consapevole ma nonostante ciò, “attivava tardivamente il coordinamento dei soccorsi”.
ps: Anche loro si porteranno sulla coscienza quelle 29 vite.
Qui sotto i nomi degli indagati:
1) Ilario Lacchetta, sindaco di Farindola
2) Antonio Di Marco, Presidente della Provincia,
3) Bruno Di Tommaso, direttore dell’hotel Rigopiano
3) Paolo D’Incecco, dirigente della Provincia di Pescara
5) Mauro Di Blasio, responsabile Servizio Viabilità Provincia di Pescara
6) Enrico Colangeli, tecnico Comune di Farindola
7) Pierluigi Caputi, ex direttore ai Lavori pubblici e Ciclo idrico integrato della Regione Abruzzo
8) Carlo Giovani, dirigente del Servizio Prevenzione Rischi della Protezione Civile della Regione Abruzzo
9) Vittorio Di Biase, direttore dipartimento Opere Pubbliche Regione Abruzzo
10) Emidio Primavera, dirigente della Regione Abruzzo
11) Sabatino Belmaggio, dirigente della Regione Abruzzo, responsabile rischio incendi boschivi e valanghe
12) Andrea Marrone, consulente di Di Tommaso
13) Luciano Sbaraglia, tecnico geometra redattore della relazione geologica e geotecnica per la manutenzione straordinaria dell’hotel Rigopiano
14) Marco Del Rosso, della società titolare dell’hotel
15) Massimiliano Giancaterino, sindaco di Farindola dal 2004 al 2009
16) Antonio De Vico, sindaco di Farindola dal 2009 al 2014
17) Antonio Sorgi, direttore Direzione Parchi, Territorio e Ambiente
18) Giuseppe Gatto, tecnico pratiche di ristrutturazione dell’hotel Rigopiano
19) Giulio Honorati, comandante polizia provinciale
20) Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il piano provinciale
21) Leonardo Bianco, capo di Gabinetto del Prefetto di Pescara
22) Ida De Cesaris, dirigente Protezione Civile sala operativa
23) Francesco Provolo, ex prefetto di Pescara