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Pescara, 24/07/2024
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Data: 25/11/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Quelli di Rigopiano non devono rompere le scatole». Intercettazioni, mail caccia ai segreti sul rischio valanghe

PESCARA «Quello dell'albergo non deve rompere il c... Deve stare calmo». Intorno alle 9,30 del 18 gennaio scorso questa risposta del dirigente del servizio viabilità della Provincia, Paolo D'Incecco, imprime alla storia maledetta di Rigopiano la prima virata verso la tragedia. In pieno marasma per un'ondata di maltempo eccezionale, ma ampiamente prevista, D'Incecco risponde al telefono a Mauro Di Blasio, il responsabile di settore operativo sul campo, che raccoglie e seleziona le richieste di aiuto che arrivano da ogni angolo del territorio. La conversazione, intercettata dalla squadra mobile nell'ambito di uno dei filoni sugli appalti della Regione, nel quale è indagato per la vicenda del parco del Lavino, è finita negli atti del secondo round sulla strage del resort a supporto dell'imputazione di concorso in omicidio e lesioni personali. Anche se se ne scopre soltanto ora l'esistenza, in ordine cronologico non è che la prima delle telefonate della vergogna di quella giornata, insieme a quella, famosa, ricevuta dalla funzionaria della Prefettura in servizio alla sala operativa di protezione civile, e a quella tra il responsabile del 118 Vincenzino Lupi e il direttore dell'hotel Bruno Di Tommaso, finito oggi tra gli indagati. La prima bolla malamente come bufala la richiesta di soccorso raccolta dal cuoco Quintino Marcella; il medico induce Di Tommaso, non presente a Rigopiano, a escludere il crollo dell'albergo.

INADEGUATEZZA Un trionfo di superficialità, inadeguatezza, approssimazione. E forse altro, come adombrano gli investigatori nella loro informativa alla Procura della Repubblica di Pescara. Quando il funzionario Mauro Di Blasio chiama Paolo D'Incecco, la tensione all'interno dell'hotel Rigopiano è già altissima, gli ospiti hanno paura, vogliono ripartire, la direzione chiede con insistenza l'intervento di una turbina per liberare la strada. E alla scossa di terremoto che trasformerà la tensione in panico manca ancora un'ora. Ma le priorità di intervento degli scarsi mezzi a disposizione della Provincia sembrano dettate da altri criteri. Sono sempre le telefonate di quella mattina a raccontarlo: «Il presidente vuole che sia aperta la strada per Abbateggio», elenca Di Blasio. Il presidente in questione dovrebbe essere il numero uno della Provincia Antonio Di Marco, sindaco e primo residente di Abbateggio. E poi: «Il presidente chiede di aprire la strada per Passolanciano». Stavolta il big in questione potrebbe essere il governatore Luciano D'Alfonso, le cui richieste vengono filtrate e organizzate dal capo della segreteria personale Claudio Ruffini, anche lui intercettato dai carabinieri del Noe nell'ambito delle inchieste sulla Regione.
È fatale, in una situazione di impotenza crescente, che quando arriva il turno dell'hotel Rigopiano, l'ennesima richiesta di aiuto venga liquidata con il crudo invito a non rompere le scatole. Nessuna valutazione delle reali ragioni di priorità sembra guidare l'operato degli uffici provinciali, che a quell'ora sono ancora completamente autonomi perché la sala operativa della Prefettura non è stata ancora attivata.

MEZZI Ma soprattutto, non c'è nessuna concreta possibilità di risolvere realmente le cento emergenze di quella giornata, visto che i mezzi forti della flotta provinciale sono fermi per guasti. È un'altra telefonata, oltre ai successivi accertamenti investigativi, a rivelarlo. Il giorno prima della tragedia, 17 gennaio, a rapporto dal suo capo è sempre Mauro Di Blasio a porre sul tavolo la necessità di invocare l'intervento di Anas con le sue turbine: «E già - risponde D'Incecco - adesso mi faccio espropriare in casa mia». La sorte di lavoratori e ospiti dell'hotel Rigopiano, anche gli ultimi trasportati in quota alle 17 del 17 gennaio con l'aiuto della polizia provinciale, è ormai segnata.


Intercettazioni, mail caccia ai segreti sul rischio valanghe

PESCARA L'inchiesta sulla tragedia dell'hotel Rigopiano non è finita. Non si è conclusa con i 23 avvisi di garanzia, recapitati giovedì all'ex prefetto Provolo, a dirigenti regionali, provinciali, del Comune di Farindola, all'attuale sindaco del centro vestino e a ex sindaci. Nelle carte c'è ancora molto altro che deve essere esaminato e approfondito. Ne sono certi in tanti, dai familiari delle vittime e dai loro legali ai difensori di alcuni degli indagati, che da mesi vanno richiedendo e analizzando documenti, vanno presentando denunce. Il nodo da sciogliere riguarda ora la famosa carta di localizzazione del pericolo da valanga (Clpv), per la quale sono attualmente sotto indagine i dirigenti regionali Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Sabatino Belmaggio, Vittorio Di Biase ed Emidio Primavera (accusati anche di disastro colposo). Si vuole capire e su questo si concentrerà il terzo livello dell'inchiesta perché nonostante la Regione Abruzzo avesse emanato una legge regionale, la 47/1992, che prevedeva la redazione della carta, e perché nonostante la delibera della giunta Chiodi del 17 marzo 2014 in cui si dava mandato al Servizio Prevenzione dei rischi di protezione civile di realizzare e divulgare la carta, questa sia rimasta lettera morta, non sia stato fatto nulla, non siano stati chiesti e stanziati soldi nel bilancio regionale.
Risposte potrebbero arrivare dalle centinaia, forse migliaia di email sequestrate già da un po' di tempo dagli investigatori nei pc dei cinque dirigenti regionali indagati ed ora in mano al procuratore Serpi e al pm Andrea Papalia, che le stanno studiando. Email acquisite dai computer e supporti informatici personali e della Regione a seguito di indagini condotte dagli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri, difensori del sindaco di Farindola Lucchetta, del tecnico Colangeli e del Comune di Farindola, che sin dall'inizio hanno presentato esposti in procura per invitare a fare luce su quella carta valanghe fantasma. I tre legali ora vogliono esaminarle e per questo hanno già avanzato richiesta.

LE TELEFONATE Ma oltre alle email, in mano alla procura ci sono intercettazioni, che potrebbero contribuire a fare chiarezza sul perché dopo la delibera del marzo 2014 nessuno si sia più attivato per realizzare la carta. Solo nel febbraio 2017, dopo che la valanga abbattutasi su Rigopiano aveva provocato la morte di 29 persone, sono stati stanziati fondi per completare la sua redazione su tutto il territorio regionale. Il primo febbraio, il nuovo dirigente dell'Ufficio Prevenzione Rischi Sabatino Belmaggio ha individuato in un milione e 300 mila euro la somma necessaria, a cui ha fatto seguito il 6 lo stanziamento dei soldi. Tutto questo dopo la tragedia che poteva e doveva essere evitata, come hanno spiegato ieri al Tgr Abruzzo i consulenti della Procura e come spiegano i magistrati stessi nell'informazione di garanzia. Perché la carta valanghe, «laddove emanata fanno presente i pm - avrebbe di necessità individuato nella località di Rigopiano un sito esposto a tale pericolo», consentendo la segnalazione del sindaco al Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e valanghe (Coreneva). «Tali informazioni avrebbero determinato l'immediata sospensione di ogni utilizzo, in stagione invernale, del suddetto albergo, fino alla realizzazione di idonei interventi di difesa anti valanghiva». Da parte loro, i cinque dirigenti regionali coinvolti, che a giorni saranno ascoltati, respingono le accuse. L'avvocato Leonardo Casciere, legale di Belmaggio, fa sapere che il suo cliente appena assunta la direzione dell'Ufficio prevenzione rischi si è attivato per trovare le risorse necessarie alla redazione della carta e di non averlo fatto prima non essendo appunto lui il responsabile. Non era suo compito nel 2014 chiedere i soldi.

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