PESCARA «E poi c'è il direttore dell'hotel Rigopiano. Chiede una turbina per far ripartire gli ospiti, bloccati dalla nevicata». Intorno alle 9,30 del 18 gennaio scorso, il funzionario della Provincia di Pescara Mauro Di Blasio termina così il briefing telefonico con il suo capo, Paolo D'Incecco, dirigente del servizio viabilità. Che senza riflettere un attimo taglia corto: «Quello dell'albergo non deve rompere il c... Digli che deve stare calmo». Non c'è stata ancora la grande scossa di terremoto di grado 5, non c'è stata ancora la valanga, non ci sono stati i 29 morti e neanche le altre due telefonate della vergogna. Ma c'è tanta neve, paesi isolati, malati intrasportabili, black out. È questa la frase choc, sconosciuta fino a oggi, che imprime alla storia maledetta del resort sul Gran Sasso la prima virata verso la tragedia. D'Incecco e Di Blasio, indagati della prima ora, condividono con altre 21 persone la seconda ondata di contestazioni della Procura di Pescara, grazie a questa e ad altre telefonate ritenute centrali dagli inquirenti. Ad avere il telefono sotto controllo, dieci mesi fa, era Paolo D'Incecco, indagato anche in un filone della procura aquilana sugli appalti della Regione Abruzzo. La squadra mobile ha avuto così la possibilità di conoscere in diretta una modalità di gestione dell'emergenza neve improntata alla più assoluta improvvisazione. Per due motivi fondamentali: l'impreparazione tecnica della Provincia, i cui mezzi spazzaneve sono in gran parte fermi per guasti, e il rifiuto di fare ricorso ad altri enti.
IL GIORNO PRIMA
Il giorno prima della tragedia, 17 gennaio, è sempre Di Blasio a suggerire al dirigente la richiesta delle turbine dell'Anas. «E già - risponde il dirigente -, adesso mi faccio espropriare in casa mia». Le uniche in grado di mobilitare la Provincia, in un quadro di generale marasma, sono le richieste gerarchizzate dalle spinte politiche: «Il presidente chiede che venga aperta la strada per Abbateggio», elenca il funzionario con evidente riferimento al presidente della Provincia Antonio Di Marco, che è anche sindaco del piccolo Comune. «Il presidente vuole la riapertura della strada per Passolanciano», insiste in un'altra telefonata che farebbe riferimento a un intervento del governatore Luciano D'Alfonso. E così via, di raccomandazione in raccomandazione.
Impreparazione, impotenza, superficialità. È fatto di tanti tasselli come questo, secondo i Pm di Pescara, il copione di una tragedia annunciata. Purtroppo noti gli altri due: la risposta della funzionaria della Prefettura addetta alla sala operativa di Protezione civile, che bolla malamente come «bufala» la richiesta di soccorso raccolta dal cuoco Quintino Marcella, amico di uno dei sopravvissuti; e la telefonata surreale del responsabile del 118, che induce il direttore dell'hotel, non presente a Rigopiano, a escludere il crollo della struttura. Secondo la contestazione cardine della seconda bordata di avvisi di garanzia che ha raggiunto l'ex Prefetto della città, Francesco Provolo, due dirigenti della Prefettura, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e due suoi predecessori, i dirigenti regionali del servizio valanghe, c'è una relazione diretta tra questa catena di decisioni mancate, la morte di 29 tra ospiti e lavoratori dell'albergo e le gravi lesioni riportare da alcuni tra gli 11 sopravvissuti. Omicidio e lesioni colpose le imputazioni attuali, che potrebbero però virare verso la più grave combinazione tra omissione di atti d'ufficio e morte come conseguenza di altro reato. La battaglia con la difesa, orientata a contestare l'utilizzabilità delle intercettazioni, è appena all'inizio.