PESCARA Non dovevano rompere le scatole, i morituri di Rigopiano, poco prima che la valanga si abbattese sul resort. Così il funzionario della Provincia di Pescara, nel pieno del caos di informazione e allarmi che circolavano in libertà, apostrofava un suo sottoposto, secondo un'intercettazione custodita nella cassaforte della Procura. Poi la valanga, la neve macchiata di rosso, i morti, le urla dalle macerie portate via dalla tempesta. Sopravvissuti e parenti delle vittime, ieri tutti a Pescara per esprimere il loro giudizio su un secondo docufilm dedicato alla catastrofe, invitano a mettere a confronto le due situazioni. Il menefreghismo e l'apocalisse. Gli allarmi lanciati da ore e il disinteresse della gestione di un'emergenza in realtà mai gestita. C'è chi sfoglia il Messaggero stentando a credere che siano state pronunciate proprio quelle parole lì: «Quello dell'albergo non deve rompere il c... Digli che deve stare calmo». Parole che sembrano stampate con il sangue. E che rafforzano la decisione del comitato: quella di tornare ad insistere per scoprire tutte le responsabilità.
E allora rewind, riavvolgiamo il nastro. Succede che, dopo una prima tranche dell'inchiesta sulla strage, la Procura decide di ampliare il raggio del sospetto. Tre giorni fa partono 23 avvisi di garanzia, agli atti anche quell'intercettazione da brivido. «Parole sottolinea Gianluca Tanda, portavoce dei parenti che sono lo specchio del disastro dei primi soccorsi. Ora queste persone, se hanno una coscienza, devono dimettersi. Non una soltanto, tutti devono dimettersi perché potrebbero fare altri danni». Quello delle dimissioni è il mantra di chi ha attraversato l'inferno di Rigopiano. Le chiede anche Mario Tinari, papà di Jessica, morta là sotto: «Siamo di fronte a gente che si è dimostrata superficiale, non attenta ai compiti che doveva svolgere». Non riesce a crederci Francesco Di Michelangelo, cugino del piccolo Samuel, che sotto le macerie ha perso la mamma e il papà. «Il bimbo dice Francesco almeno all'apparenza sta bene. E' molto coccolato, ma sente la mancanza dei suoi genitori. Non so se questa gente si renda conto di cosa e soprattutto di chi l'hanno privato. Del bene e del sostegno più grande. Avrebbero dovuto provvedere a pulire la strada, ma per loro Rigopiano era solo una scocciatura».
Nella tragedia ha perso tutti e due i genitori anche Marco Foresta. «L'intercettazione commenta - è la dimostrazione del menefreghismo e della mancanza di professionalità con cui è stato gestito il tutto sin dall'inizio. Per quanto riguarda il funzionario della Provincia che veniva scocciato dall'allarme Rigopiano voglio vederlo negli occhi. Un paio di settimane fa, in occasione di un sit-in, io e altri parenti l'abbiamo cercato. Abbiamo bussato alla porta del suo ufficio, c'è stato subito detto che non c'era. In realtà si era chiuso dentro per non incontrarci». Per Alessio Feniello, papà di Stefano, il cui nome la macchina dei soccorsi aveva inserito inizialmente nella lista dei sopravvissuti, per poi spostarlo a quello dei morti: «Se quella frase è vera, come purtroppo lo è, siamo di fronte all'incredibile e vanno presi provvedimenti. Queste sono le persone che dovrebbero tutelarci. Parlo del dirigente stradale come anche dell'ex prefetto Provolo. Sto ancora aspettando, a tal proposito, una risposta del ministro Marco Minniti sul suo trasferimento-promozione a Roma.
Dimissioni, ma di chi? A parte il prefetto Provolo, sono ancora al loro posto il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (competente su Rigopiano), il presidente della Provincia Antonio Di Marco, i funzionari della Prefettura che non capirono nulla della gravità dell'allarme. Via, tutti via, chiedono oggi le vittime, dirette o indirette, del resort.