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Pescara, 24/11/2024
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Data: 27/11/2017
Testata giornalistica: Corriere della Sera
L’Italia del 58 per cento che non è possibile ignorare. C’è chi accusa il M5S e i suoi elettori di essere eversivi. È un errore, fanno parte della maggioranza degli italiani che vogliono un rinnovamento di Ernesto Galli della Loggia

Il Movimento 5 Stelle è un partito eversivo? Eversivo è una qualifica grossa, molto grossa, ma è anche una definizione per così dire tecnica, che quindi dovrebbe essere affidata a chi è tecnicamente competente a darla, vale a dire ai giuristi. Personalmente, nella mia ignoranza sarei portato a dire che un partito può essere qualificato come eversivo quando non si riconosce nei valori e nelle regole della Costituzione della Repubblica, cioè nei principi di eguaglianza e di libertà sanciti dalla nostra Carta, ovvero quando esso contesta l’architettura che nella Carta stessa viene disegnata dei vari poteri dello Stato e delle norme che ne definiscono la vita. Ma credo — nella mia ignoranza, ripeto, e dunque pronto a ricredermi — che per arrivare a incarnare una dimensione eversiva tutto ciò non basti. Ci vuole anche qualcosa di diverso dalle parole, dalla critica sia pure la più aggressiva, sommaria e insulsa: e cioè la violenza. Vale a dire uno strumento concreto e palesemente illegale. Lascio giudicare ai lettori se realmente tutto l’insieme dei programmi e dell’azione dei 5 Stelle configurino un’ipotesi del genere. Quello che sappiamo è che nella polemica politica riaccesasi in vista delle elezioni, sempre più spesso e più o meno esplicitamente ai grillini viene affibbiato comunque la qualifica di partito eversivo. Sia dal Pd renziano che ama considerarsi il solo baluardo possibile contro i barbari, sia da parte della varia Destra berlusconiana che si candida anch’essa ad argine per antonomasia contro il populismo eversore dei 5 Stelle.
Ma oltre tale presunta eversione c’è dell’altro, un ulteriore elemento che dovrebbe rendere questo quadro già di per sé abbastanza inquietante addirittura drammatico. Il fatto, cioè, che stando almeno agli ultimi sondaggi circa il 30 per cento degli elettori sarebbe orientato a votare il partito di Grillo. Un dato che diviene ancora più grave, davvero da allarme rosso, se si pensa che la percentuale degli italiani che non vota — e che quindi non mostra una particolare affezione per il sistema politico e i suoi partiti — si colloca ormai intorno al 40 per cento degli aventi diritto al voto. Dunque, sommando questo 40 per cento più il 30 per cento del 60 per cento di coloro che presumibilmente si recheranno alle urne, si ha niente meno che un 58 per cento — una ragguardevolissima maggioranza — di elettori i quali mostrano di non voler avere nulla a che fare con il sistema politico della Repubblica o addirittura si pongono nei suoi confronti in una posizione «eversiva».

Già un fatto del genere da solo dovrebbe, mi pare, indurre non dico qualche mea culpa ma almeno qualche autocritica sia nel centro-sinistra che nel centro destra, cioè nei due schieramenti che hanno governato il Paese negli ultimi venti anni. E’ questo infatti il risultato che essi possono esibire? Questo inquietante 58 per cento? Questo maggioritario dissenso di massa? Possono essere soddisfatti che questa è l’immagine dell’Italia che la loro ventennale gestione della cosa pubblica trasmette all’estero, a Bruxelles, a Berlino a Parigi? quella di un Paese in cui il primo partito è un partito eversivo ?
Ma il vero punto è un altro: lasciando in sospeso la questione della presunta natura eversiva del movimento dei 5Stelle, quello che è certo è che di sicuro non sono eversivi i suoi elettori o almeno la stragrande maggioranza di essi. Sono semplicemente, mi pare degli italiani che, detto in modo molto semplice, non ne possono più. Saranno creduloni, culturalmente rozzi, iracondi, sommari — anzi lo sono senz’altro, e spesso in misura insopportabile — ma al dunque sono semplicemente degli italiani che vogliono cambiare le cose, molte cose: sicuramente troppe tutte insieme e magari anche senza sapere bene come, senza avere un’idea precisa del rapporto tra mezzi e fini. Ma è altamente probabile — perlomeno probabile, mi pare — che per la gran parte i cambiamenti che essi vogliono sono più o meno condivisi dalla maggioranza dell’opinione pubblica.
Ora proprio qui sta il punto cruciale della prossima campagna elettorale. La domanda è: la grande area elettorale che non approva i risultati delle politiche degli ultimi due decenni - che pensa che il Paese abbia bisogno di un profondissimo rinnovamento delle sue varie istituzioni (dalla scuola, alla Rai, alla giustizia, al fisco), che considera insopportabile il fatto che chi nasce al sud sia destinato a vivere quattro anni in meno di chi nasce al Nord, che pensa che si debba spezzare il meccanismo della cooptazione familiare o a base di raccomandazione che insieme a una corruzione capillare domina tutta la sfera pubblica, che non ne può più di una classe dirigente (non solo politica) mai chiamata a rispondere davvero di nulla e sempre eguale a se stessa, di figure di comando al loro posto per decenni a dispetto di ogni risultato fallimentare, che desidera politiche dell’occupazione più incisive, un’assistenza sociale più mirata al disagio grave di milioni di cittadini, che non ne può più di opere pubbliche non finite e di rovine di terremoto non rimosse — tutta questa vasta area elettorale ha forse qualche partito «non eversivo” che possa credibilmente ( e cioè per le prove concrete fornite fino a ora) raccogliere i suoi malumori e suoi lamenti? Ovvero, detto in altro modo: come mai né l’uno né l’altro dei due schieramenti diciamo così vocazionalmente «antieversivi» è però riuscito e riesce a mostrarsi capace di fare o di dire qualcosa in proposito? Si mostra capace di raccogliere la voce del 58 per cento di cui sopra?
La storia dimostra con un gran numero di esempi che se in un sistema politico fondato sul suffragio universale una parte comunque grande degli elettori si orienta per un partito «eversivo» c’è poco da fare: è perché gli altri partiti, i partiti dei «buoni», sono stati inferiori, drammaticamente inferiori al loro compito. E in tal caso c’è un solo rimedio possibile, dal momento che gridare semplicemente all’eversione non basta così come non basta, all’occasione, neppure la penosa figura di una giovane sindaca ben poco «eversiva» ma soprattutto molto inetta: bisogna che i «buoni» facciano almeno pubblica ammenda, indichino quali sbagli hanno commesso e perché, non ripresentino alle elezioni i responsabili . Senza di che tutto il resto sono chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Addirittura destinate, si può essere sicuri, a gettare altra benzina sul fuoco dell’ «eversione».

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